Procida: Ha un senso parlare oggi di processioni?

Procida. una processione nei pressi del Largo Caduti
Nell'isola di Procida hanno ripreso quota le processioni e certe forme di religiosità popolare. Sono sentite da una buona parte della popolazione e attraggono giovani e adulti. 
Per la verità quella maggiormente sentita dai giovani resta solo la Processione del Venerdì Santo, le altre un po' meno.
Nello stesso tempo si registra un sempre maggiore allontanamentto di adulti e giovani dalla vita della comunità ecclesiale e dalla pratica religiosa.
Di fronte a questa duplice realtà,  mi pongo alcune domande:
Ma ha ancora un senso oggi la processione? Che rapporto c'è tra la processione e la fede? Cosa pensano i giovani delle processioni in genere? E' giusto mettere gli altoparlanti all'esterno della Chiesa per far sentire  la preghiera liturgica a chi è sulla strada? O collocare gli altarini nelle strade dove passa il corteo e sparare i fuochi di artificio?
Domande alle quali non sempre  ho trovato una risposta, in quanto trovo molto difficile collegare la mia fede a queste espressioni di "religiosità popolare" o a forme "pseudoliturgiche" che nella mia isola sono tornate di moda. 
Ricordo che negli anni 60, dopo il Concilio Vaticano II  ci fu nell'isola una seria riflessione sulla eccessiva presenza di statue in Chiesa, sui paramenti  e addobbi sfarzosi,  sulle Quarantore ed anche sulle processioni; una riflessione che nasceva da un desiderio sincero di rendere la Chiesa più vicina al Vangelo, ai poveri, all'amore per le persone, all'amore al nemico. 
Si riscopriva infatti che la fede cristiana  non viene testimoniata tanto dalla partecipazione a rituali tradizionali o devozionali, come le processioni appunto, ma prima di tutto da una esperienza di vita che pone i suoi fondamenti sui valori dell'accoglienza, del rispetto reciproco, dell'amore per gli ultimi, del perdono, della comunione dei beni, della pratica della giustizia, e dal punto di vista politico nell'impegno per il bene comune e per la pace in ogni ambito sociale. 
Si riscopriva, inoltre, che una comunità cristiana deve essenzialmente esprimere le proprie scelte religiose vivendo quel comandamento nuovo che Gesù ha portato nel mondo: "Amatevi scambievolmente l'un l'altro così come io vi ho amati" e che solo questo amore vissuto avrebbe testimoniato Cristo: "Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri,"
Tutto il resto veniva dopo. E compresi anche, grazie al Concilio, che bisognava amare tutti e avere rispetto profondo per  chi aveva scelto una religione diversa dal cristianesimo e per chi non aveva convinzioni religiose.
Volli impegnarmi, fin da quegli anni, a costruire rapporti di condivisione, di collaborazione con tutti, a non fare proseliti, a rispettare l'ambiente, a mettere a fuoco il bene comune e a guardare il futuro con speranza.
Impegno difficile  di fronte al quale ho dovuto speso constatare i miei fallimenti. Ma ricordo sempre quello che ci diceva Don Michele Ambrosino: " Conta la buona volontà, lo sforzo personale e quando si sbaglia importante è ricominciare...mai perdere la speranza."
Le processioni, l'ostentata ritualità  ed altre manifestazioni, passarono un po' in secondo piano. veniva in evidenza il terzo mondo con i suoi problemi. Lessi l'enciclica Populorum progressio con passione, comprendendo che dovevo guardare le necessità dei paesi più poveri, partecipano alle iniziative per configgere la ffame nel mondo di Raul Follerau e aderendo all'Operazione Africa promossa da Chiara Lubich  e vi lavorai per oltre un decennio. 
Solo più tardi ho compreso anche che testimoniare la propria fede con una processione in un paese come la Polonia dove il regime aveva distrutto le chiese, imprigionato i sacerdoti e i vescovi, aveva un grande valore perché, con coraggio, richiamava il diritto calpestato di poter professare una fede religiosa, il diritto di riavere i luoghi di culto soppressi, e auspicava con coraggio che vescovi e preti imprigionati fossero liberati.
Pochi anni fa, poi, in preparazione alla settimana santa,  ci fu a Procida  un momento  di riflessione sui riti pasquali e sul senso della processione del Cristo Morto. Non potrò mai dimenticare le parole di un sacerdote che, tra l'altro, disse: "Portare il Cristo Morto sulle spalle, per le strade dell'isola, il Venerdì Santo, ha un senso se è testimonianza viva dell'impegno di tutti i cristiani dell'isola a combattere insieme ogni forma di  povertà e di ingiustizia, a promuovere la pace e la fraternità in tutta la comunità isolana, ad amare gli anziani e le persone sole, ad avere una grande attenzione per i bambini, a rispettare la natura... in una parola a vivere quei valori per i quali Cristo è stato ucciso come il peggiore dei malfattori."
Parole che ancora mi interpellano e mi spingono primariamente a costruire in tutti i modi possibili quella fraternità universale proposta da Gesù agli uomini di ieri e a quelli di oggi. E che solo in questo impegno, forse tutto può trovare un senso. Anche una processione.

Pasquale Lubrano Lavadera
   
 

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