Procida non si salva da sola
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"Procida" foto di Gianlorenzo di Gennaro Sclano |
Quando
Alphonse de Lamartine nel 1852 pubblicò il romanzo Graziella, non
avrebbe mai immaginato che la piccola isola, punto invisibile sulla carta
geografica del golfo di Napoli, dove lui giunse nel 1811, grazie a quel suo racconto, sarebbe diventato
un luogo conosciuto e amato, dapprima in tutta l'Europa e poi nel mondo.
Il
romanzo portava alla ribalta la gente umile e povera di Procida, rimasta ancora
ai margini di una società che voleva difendere i privilegi dei nobili, sottolineando
i principi di uguaglianza e fraternità,
come valori fondamentali del vivere.
La piccola isola esultò
dinanzi a quelle pagine, e fu grata a colui che l'aveva proiettata in una
felice dimensione letteraria, ripagandola in tal modo dai colpi violenti della
Storia.
L'isola
sentì proprie quelle pagine e Graziella divenne per gli isolani il mito,
perpetuato ogni anno in una sera di agosto allorquando
simbolicamente una giovane fanciulla viene scelta a rappresentare Graziella. Il
costume delle antiche donne procidane è oggi, per tutti, il costume di
Graziella.
I primi turisti dell'isola, fin dal tardo
ottocento, furono i francesi che vollero conoscere da vicino il luogo celebrato
da Lamartine. Si avventuravano silenziosi nelle stradine cercando la casa di
Graziella: ma ogni frazione, ogni borgo aveva individuato una sua plausibile
dimora. Rimasero incantati dal porticciolo della Corricella incastonato nello scenario luminoso di case multicolori
aggrappate le une alle altre e occhieggianti su mare. E furono tra i primi a
diffondere nel mondo quell'immagine esemplare di architettura mediterranea.
Lamartine, senza saperlo, favorì il richiamo
sull'isola di cittadini europei: era la virtù dell'arte letteraria che planava sulla piccola isola marinara, già
rinomata per la genialità artigianale.
Da sempre infatti il popolo di Procida si
era dedicato alla costruzione di barche
e di velieri fra i più imponenti della marineria del Regno di Napoli. Sulle
piccole spiagge s'innalzavano velieri giganteschi che avrebbero solcato i mari
del mondo.
L'isola ampliava, attraverso i viaggi, le
sue conoscenze, accoglieva e non rigettava; in una mescolanza di vita e di
culture, generava nuove abitudini, tradizioni e costumi.
Forte della propria identità marinara, elevava
il suo livello culturale ed economico. Tra le persone colte dell'isola alcuni
sacerdoti, tra questi Marcello Eusebio Scotti autore del primo importante Catechismo
nautico e il vicario curato Nicola
Lubrano di Vavaria che sposò pubblicamente l'idea repubblicana. Inoltre nell'800 nacque la prima scuola nautica, divenuto
poi uno dei primi Istituti Nautici
italiani e, quando tramontò la marineria a vela, Procida era già pronta a offrire
alla nazione valenti comandanti e direttori di macchine per le navi a motore.
Tutto si doveva al mare, la sua economia ma
anche le più grandi tragedie: non si contano i naufragi e le vita di procidani
periti tragicamente. Morte e vita su quell'unica via di comunicazione, di
commercio, di scambio culturale. Lo imponeva il forte limite geografico, la
densità abitativa e l'aspirazione a
vivere nel mondo.
Un'affermazione divenuta proverbiale: "Il
procidano è amante del forestiero" esprimeva il forte desiderio di
assimilare a sé, in un connubio di reciprocità. Quando invece la violenza o l'ideologia
ruppero l'integrazione rispettosa ci fu lacerazione con forti traumi sociali.
Come tutti i paesi costieri del Mediterraneo
anche Procida fu vittima della
pirateria, e si difese con la fede e
rinsaldando l'unione di pensiero e di cuore. E' ancora viva l'immagine di un piccolo
popolo unito e asserragliato sulla Terra Murata a difendersi e a combattere contro
l'aggressore. Nacque proprio allora, nel
600, quel "Pio Monte dei Marinai", per riscattare i cittadini
prigionieri dei pirati e per sostenere le famiglie predate dei loro beni.
Nel periodo rivoluzionario, invece, quando
l'ideologia repubblicana si oppose alla monarchia ci fu il grande buio. Procida smarrì la
coesione interna e fu colpita dalla violenza borbonica che fece cadere su Procida la sua scure. L'albero
della libertà, innalzato davanti al Santuario di Santa Maria delle Grazie,
divenne il 1 giugno 1799 albero dell'impiccagione per 16 cittadini, tra i quali
il vicario curato Nicola Lubrano di
Vavaria, mentre molte famiglie dovettero prendere la via dell'esilio. Marcello
Eusebio Scotti venne impiccato a Napoli.
Ancor più, quando il grande Palazzo
d'Avalos, palazzo reale, posto nel centro della Procida storica, fu trasformato
nel 1830 dal Re in ergastolo, preambolo
del vasto progetto di trasformare tutta l'isola nel più grande ergastolo del
Regno.
La storia volle altrimenti e Procida in silenzio pianse i morti e
rivendicò la pace tradita, la solidarietà spezzata, la ripresa del commercio
col mondo.
Costretta a vivere accanto agli ergastolani,
ad assistere alle feroci evasione con
epiloghi cruenti, non si piegò e trovò il
coraggio di riprendere tra le mani il proprio destino. La sua identità marinara
riemergeva con ancora più forza
Dopo Lamartine, altri scrittori, altri
artisti la conobbero e l'amarono, trovando sull'isola l'ispirazione e
lasciandoci pagine straordinarie.
Non possiamo non ricordare Elsa Morante, che
vi giunse con suo marito Alberto Moravia nel dopoguerra e qui scrisse la sua
celebre Isola di Arturo.
Inquietata dalla mole gigantesca del Palazzo
d'Avalos-Carcere, che troneggiava sulla collina più alta dell'isola, con
austerità e superbia, fu poi sorpresa nel vedere la naturalezza del popolo
procidano nel rapportarsi con il carcere e i suoi abitanti. Ma le sembrò
necessario che, nel romanzo che germogliava in lei, apparisse il carcere nella
sua drammaticità.
Le donne portavano il lutto a lungo e le
loro figure esili vestite di nero segnarono l'animo della scrittrice che,
nell'anonimato, amava percorrere le stradine silenziose, perdersi nei magici giardini
dell'isola e sedere nelle vigne sparse, accogliendo un bicchiere del buon vino
che l'isola produceva.
Altre volte invece, abbagliata dalla luce e
dai colori, si lanciava attraverso sentieri scoscesi cercando le vie del mare, fermandosi tra
quegli scogli aguzzi dove l'onda spruzzava
in alto i suoi sbuffi.
Forse si rivide fanciulla solitaria e
dolorante e, intravedendo su quei scogli un adolescente che al pari di lei, viveva la sua vita primitiva
e selvaggia, fu catturata dal suo dinamismo naturale e sognò la sua storia. Un
giorno lo vide allontanarsi su una barca
fino a diventare un punto e avvertì il
dolore di quell'allontanamento, nel mentre riemergeva in lei la memoria di quel personale allontanamento
dalla propria sofferta adolescenza.
Gli diede un nome, Arturo, e cominciò a raccontarne
le vicende: il limite geografico e il sogno di un altrove, il divenire della
coscienza, la ricerca di una salvezza, l'incontro col dolore, la necessita di
proiettare la propria storia oltre la linea dell'orizzonte.
Entrava, per pura ispirazione, nella realtà
più profonda e segreta dell'animo procidano. L'isola di Arturo sarebbe
divenuto un successo mondiale, e come già avvenuto per Graziella nel
1954, nel 1962 si girò il film omonimo per la regia di Damiano Damiani. Da quei
giorni l'isola fu presa d'assalto da set cinematografici e ancora oggi essa
viene molto richiesta dalla produzione internazionale.
Scrigno misterioso e magico, nonostante le
sue fragilità, Procida continua oggi a offrire i suoi aspetti antitetici che la
rendono unica e attrattiva: incontaminata e arresa, timida e austera, antica e
moderna, poetica e narrativa, sconvolta e raccolta.
I contrasti sociali, pur presenti, sembrano
sciogliersi ed assumere quella dimensione di leggerezza che stempera
l'acrimonia e la contrapposizione brutale. E sono soprattutto gli artisti che vi intravedono, come in uno specchio, il luogo segreto della propria anima, dove
fioriscono nuovi poemi, nuovi romanzi, nuove pitture, nuovi film.
Massimo Troisi, che già amava l'isola, per il suo film Il Postino, volle che essa
fosse il laboratorio ideale per raccontare la storia di esilio di Pablo Neruda.
In quei giorni l'isola divenne
effervescente, Troisi ne cantò la bellezza e la consegnò al mondo nelle
indimenticabili scene. La musica di quel film sembra aleggiare ancora di notte,
sotto la luna, nel borgo dei pescatori alla Corricella dove rivive la locanda
del Postino o sulla spiaggia solitaria e ombrosa del Pozzo Vecchio dove Troisi
accovacciato sulla sabbia è ancora lì a
guardare i gabbiani volare lontano.
E potrei finire qui la piccola storia della
mia isola se non fosse avvenuto un ultimo e significativo evento che chiude un
cerchio e forse ne apre altri.
Sergio Scapagnini produttore e Lamberto
Lambertini regista decidono di girare un film ispirato al periodo storico in
cui è ambientato il romanzo Graziella di Lamartine: una nuova opera sul
valore della gentilezza e dell'amore.
Graziella rivive con la sua carica
spirituale, che diventa possibilità di
rinascita interiore per l'intera gioventù di oggi, nel rifiuto volgarità e
dalla frenesia avida di potere e di violenza. A interpretarla la giovane
attrice indiana Sonali Kulkarni che aveva letto in India il romanzo ed aveva
sognato per lungo tempo di poterla rivivere sullo schermo; il giovane Eugenio
di cui si innamora è un intenso e espressivo Massimiliano Varrese; il vecchio
principe repubblicano, nonno di Eugenio,
ricco di cuore e di sapienza, un Omar Sharif in stato di grazia, e Gioacchino
Murat interpretato da un superbo Zoltan Ratoti.
Portato alla Mostra di Venezia il film vince
il Premio "Cinema della cultura e del dialogo" e Procida sulle cui
immagini si chiude il film è ancor una volta il luogo della rinascita e della vera
liberà interiore.
Uno degli eventi locali che colpì la Morante
fu il corteo del Venerdì Santo. Festoso e drammatico esso si sviluppa intorno ad una scultura lignea
del Cristo morto, dove l'esplosione della vita e la drammaticità della morte di
alternano in un sincronismo gestuale e antropologico di grande forza espressiva. Significativo il passaggio in cui
piccoli bambini appena nati, i cosiddetti " angioletti", sulle braccia dei loro padri, nella loro innocenza piangono la morte del Cristo.
Tutto questo in una cornice paesaggistica
che tocca vertici e abissi: dalla fantasmagorica Corricella, alla umbratile e
severa oasi di Protezione naturale di
Vivara, sede degli antichi Micenei, che nella sua silente solitudine sembra
voler proteggere la grande sorella pullulante di vita, quasi a
volerla difendere da ogni tentazione di mistificazione; dall'antica Agorà di
Terra Murata circondata dalle macerie del tempo che ha corroso un passato di
morte, al Roccione di punta Pizzago dove il mare diventa cielo e cielo diventa mare.
Una domanda che mi viene spesso posta dagli
ospiti attenti: ma i procidani sono
coscienti di avere tra le mani una manciata di perle preziose?
Sicuramente, oggi più di ieri, anche perché
le nuove generazioni si affacciano sulla propria storia con più ardimento e
genuino senso di ricerca , grazie anche al rapporto collaborativo con quanti
hanno deciso di condividere con noi la loro avventura umana. Chi per giorno,
chi per un mese, chi per tutta la vita.
Giancarlo Cosenza, autore di libri
meravigliosi sull'architettura procidana
vi ha posto la sua dimora; Mario Luzi attraversandola per più giorni vi
trovò una luce incomparabile e gettò un legame di amicizia profonda con chi si
fece a lui compagno nella scoperta
dell'isola; Sergio Scapagnini e la sua
famiglia scelsero di avere stabilmente una casa sull'isola, ma anche Alessandro
Baricco e tanti altri scrittori italiani e stranieri, docenti, pittori, medici
e studiosi di architettura mediterranea vi passano oggi lunghi periodi o vi si traferiscono stabilmente.
Straordinaria e felice la storia di Vera Vergani.
Grande attrice italiana, innamorata del comandante
procidano Leonardo Pescarolo, lasciò il teatro
e si stabili a Procida. Il regista Giuliano Montaldo sposato con la figlia
della Vergani, Vera Pescarolo, vi passa le sue lunghe estati, svolgendo
continuamente un'opera di sensibilizzazione per la difesa dell'isola da
eventuali speculazioni. La traduttrice francese Juliette Bertrand e lo
scrittore Marino Moretti l'hanno abitata
dal 1952 fino agli ultimi anni della loro vita, trovando qui il luogo
ideale per rinsaldare la loro amicizia. Daniel Buren pittore francese vi dimora quasi stabilmente,
e Maria Gloria Bicocchi tra i fondatori della videoarte, innamoratasi
dell'isola, l'ha scelta come luogo
ideale per viverci, e potremmo
continuare ancora.
Culla, luogo di vita e di lavoro,
laboratorio per uomini e donne di ogni paese e cultura, Procida riesce ancora a
gettare ponti di dialogo, ed essere significativo esempio di integrazione e
accoglienza. In un panorama italiano non sempre prodigo, 38 migranti africani
rifugiati, oggi hanno ritrovato nell'isola la serenità perduta nella loro
patria.
Forse è stata questa aspirazione alla
dimensione di fraternità universale presente nell'isola che ha permesso al ministro Dario Franceschini
il 18 gennaio 2021 di proclamare Procida Capitale della cultura italiana 2022.
Non una grande città ma solo una piccolo
isola che a partire dalle proprie fragilità e ferite della storia ha aperto i
suoi porticcioli all'umanità che la
circonda, creando sinergie virtuose nella consapevolezza che oggi non ci si
salva da soli, ma insieme.
Pasquale Lubrano Lavadera
da Radici, La revue pour les passionnés d'Italie n.114 Marzo 2021 Toulouse France
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