"STAGIONI" IL NUOVO LIBRO DI MARIA FRANCESCA BORGOGNA

 

 

Maria Francesca Ambrosino

Stagioni[i] di Maria Francesca Borgogna come un diario dell’anima, di un anima cosmopolitica, oserei dire, che abbraccia le nostre anime e quelle del mondo attuale.

Nel leggere questi versi, editi da Guido Miano Editore,  ho sentito  la sofferenza per un mondo che spesso  resta insensibile di fronte al dolore e alla sofferenza umana. E Maria Francesca con coraggio non teme di manifestarsi.

Non teme di consegnarci i suoi sentimenti che nascono da un vissuto con amore per l’umanità e per la sua isola, presentissima quasi in tutte le poesie, se pur mai nominata.

Un isola, piccola piccola, una delle più piccole isole d’Europa, di soli 3,7 KMQ, che di riflesso vive  le contraddizioni del tempo presente.

Procida, per Maria Francesca Borgogna, non è l’ombelico del mondo come qualcuno ama dire, mancando di umiltà e di senso concreto, ma un’isola che vuole essere comunità come ogni altra città o paese o isola, perché il nostro sentire se è umano ci accomuna a tutti gli esseri umani.

Le caratteristiche saranno diverse, diverse le storie ma come diceva Lamartine[ii], l’autore di Graziella, grande poeta “C’è una grande unita da scoprire e difendere per il bene di tutti gli esseri umani del mondo”.

Ed è in quest’isola che Francesca trova ispirazione per le sue poesie. “L’isola dei muri”, come scrisse un giorno uno scrittore, che sa leggere i segni del tempo che passa e lascia le crepe.

I muri difendono la terra ma difendono anche l’uomo dalla calura, lo proteggono, lo indirizzano lo nascondono. Ma quante crepe! Se i muri di Procida potessero parlare!

La Borgogna ha raccolto le parole  nascoste in queste pietre

in queste crepe ed ha udito quella “voce” che senza equivoci chiede redenzione e rigenerazione pur nella catastrofe che incombe.

 

Muri tristi

Odorano di penitenza

i muri scrostati,

irrisolte esistenze

hanno lo sguardo grigio.

come le vite sospese si nascondono

alla luce del sole.

essudano disfatta e vergogna.

trattengono il fiato

nel ristagno marcio della resa.

attendono proni redenzione

e catastrofe.

 

E’ l’isola amata  che da un passato  ferito dalla storia  ora cerca salvezza seppure ancora segnato da nebbie  e ombre. Emerge allora da questo grande coro di voci inquiete  l’anima delle creature, fragile ed eterna,

Sarà l’anima di Francesca , oppure la nostra anima, che “sanguina”, o solo e per sempre  l’anima dell’isola madre  che prorompe in ciascuno di noi e mostra i lividi che il disamore  ha generato in questo nostro  andare “smemorato di questi giorni stanchi e assenti all’appello della vita.

Sì, dice Francesca Maria Borgogna, la vita, nonostante tutto, ci chiama,  e se non rispondiamo  è perché è venuto meno  la vera cultura, ossia il pensare insieme del poeta Mario Luzi, il pensare insieme  e non più isolati e staccati, ma in un’alleanza di reciprocità  nella condivisione di un progetto dove si sceglie  la virtù socratica del bene sommo per sé e per gli altri, quale unico  modo per essere felici pur nelle temperie della Storia.

E’ forse questa la cultura a cui in senso ampio  queste poesie  ci convocano, e spingendoci nello stesso tempo all’azione con un rintocco sonoro e persistente che entra nella nostra vita come un invito e una speranza:   abbi cura!

Ho risentito in questo verso la voce di Don Milani che nella sua Scuola di Barbiana pose all’ingresso un grande cartello con su scritto I care:  volendo dire a ciascuno di noi  il senso vero della Scuola: io mi prendo cura di questi ragazzi a digiuno di tutto, per renderli uomini  capaci di affrontare domani la vita con dignità.

E se ci sentiamo fragili per tale compito Francesca Maria ci ripete:

 

abbi cura

abbi cura dei tuoi piedi di argilla,

delle fragili foglie d’autunno,

del passo abbagliante

dell’ora meridiana.

abbi cura di ogni respiro

delle mani legate ai nodi

della tua esistenza

abbi cura del soffio lieve

della parola breve.

abbi cura delle tue sconfitte.

abbi cura di riprovare.

 

   Un monito e una speranza: non stancarci mai di riprovare lì dove l’errore e il fallimento sembrano volerci disilludere.  Aver “cura” di noi stessi, delle persone prossime,  delle cose e della natura. Trafiggere la nostra tiepidezza, l’esitazione, e spalancare l’anima ad una vita nuova, dove si possa vivere insieme,  crescere insieme  lottare insieme  per quell’unico bene… come avviene in una foresta dove un albero cresce felice e rigoglioso insieme a tutti gli altri alberi che lo circondano, e non da solo, mai lasciando alberi nani intorno a lui.

  Cultura e virtù, e se la prosa racconta la vita, la poesia la illumina e di fronte alla sua luce  tu entri nel tempo che vivi diverso da prima. E’ il grande dono che la poesia ci regala.

   Ritorna in mente la poesia L’aquilone di Giovanni Pascoli. Tutt’altro registro, diversa la cifra stilistica e letteraria, ma rivive l’immagine  del poeta bambino che, lanciato l’aquilone nell’aere attende che esso prenda il volo e solo quando lo vede innalzarsi libero e ormai perso nell’azzurro, intuisce  il senso del sue essere su quel piccolo colle.

   Anche di fronte ai versi della Borgogna, l’ anima sembra prendere  il volo ed è questo il dono che lei fa a ciascuno di noi con questa sua ultima opera. E’ la magia della poesia, la “festa della poesia”, perché  dono dell’anima.

   Mi sovviene un verso  del poeta friulano Pierluigi Cappello: “tra l’ultima parola detta e la prima nuova da dire, è lì che abitiamo.” E’ il distino del poeta,  di Maria Francesca Borgogna e di quanti si avventurano nell’arte letteraria.

Pasquale Lubrano Lavadera

29-10-44

 


 

 

 

 



[i] Maria Francesca Borgogna, Stagioni, Guido Miano Editore 2025

[ii] Pasquale Lubrano Lavadera Lamartine Sognando la fraternità IOD edizioni 2024

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