Quando il politico ascolta la Coscienza

Lamartine e il primato della coscienza in politica

Alphonse de Lamartine (1790-1869)

Il grande poeta  Alphonse de Lamartine conosciuto  e amato nelle isola di Ischia e Procida dove soggiornò a lungo nell’800, in particolar modo a Casamicciola in località Sentinella, e per aver scritto molte poesie dedicate a Ischia e il famoso romanzo Graziella ambientato a Procida, fu un importante politico francese e ispiratore nel 1848 della seconda Rivoluzione Francese.
Quando entrò per la prima volta alla Camera di Parigi nel 1833 pronunciò queste parole: “Accettando l’incarico di deputato, ho preso un impegno sacro con me stesso, quello di vedere in tutto solo l’interesse e la sorte delle classi lavoratrici, delle masse proletarie fin troppo spesso oppresse dalle nostre cieche leggi.” La storia racconta che la maggior parte dei deputati  si fece beffa di lui, ritenendo quelle parole pura retorica di un aristocratico sceso in politica solo per soddisfare il proprio narcisismo. Come poteva un fedele servitore borbonico, un alleato della Monarchia di Carlo X, abbracciare improvvisamente la causa dei poveri?
In realtà pochi avevano conosciuto le vicissitudini interiori di quest’uomo che, dopo una gioventù errabonda, tutta dedicata al gioco e alle donne, nell’incontro con la marchesa torinese Giulia di Barolo, subì una sorta di conversione che lo riportò alla fede e ad un amore per gli ultimi.

Giulia di Barolo
Una fede sfiorata sempre dal dubbio, inquieta,  che tormentò Lamartine fine alla fine dei suoi giorni, in una ricerca personale che lo porterà nella maturità a staccarsi dal cattolicesimo per approdare al movimento deista,  riconoscendo però sempre il grande messaggio del cristianesimo che aveva ispirato i tre principi della Rivoluzione: libertà, uguaglianza e fraternità.
Su questi tre principi   basò il suo impegno politico e  riconoscendo nella Repubblica quello Stato politico chiamato ad attuare “i tre principi della modernità” nella vita della nazione.
La sua politica si distanziò da ogni schema. Crollate in lui le speranze di una Monarchia illuminata, ma anche la fede nel comunismo che avanzava, lontano dalla Destra conservatrice, ma anche dalla Sinistra, Lamartine restò un isolato.
Tuttavia, seguì sempre la sua coscienza e quando lo fischiavano, da Destra e da Sinistra, egli rivolgendosi ai denigratori ripeteva: “Signori, io non insulto nessuno, ciò non è nel mio cuore; permettetemi di esprimere in coscienza quello che ho visto e che sento.”
I suoi discorsi alti, dirompenti, circostanziati e a tratti anche poetici, resteranno proverbiali e sovvertiranno l’andazzo sciatto e “senz’anima” delle discussioni parlamentari
Fu fra i primi deputati francesi a scagliarsi contro la vigente pena di morte e la schiavitù nelle colonie. Celebre un suo discorso contro la legge che sosteneva la pena capitale: “La società confuse la vendetta con la giustizia e consacrò la legge brutale del taglione che punisce il male col male, che lava il sangue nel sangue, che getta un cadavere su un cadavere e che dice all’uomo: io non so punire il delitto che commettendolo…La pena di morte fu una legge d’impotenza, di disperazione…”.
Al “Banchetto della società” il 10 febbraio 1840 affermò che, se la rivoluzione del 1789 aveva creato dei cittadini, ora bisognava realizzare  l’uguaglianza fra tutti gli esseri umani e che la schiavitù andava pertanto abolita: “Che nessuna creatura di Dio sia più proprietaria di un'altra creatura.”
Si batté con tutte le sue forze per dare assistenza e dignità agli orfani. Difese il diritto di proprietà e presentò una proposta di legge che estendeva questo diritto a tutti i cittadini nessuno escluso, trovando reazione nella Destra e nella Sinistra.
Si adoperò per il suffragio universale e per il diritto allo studio con l’istituzione di scuole pubbliche: “C’è una grande e preziosa unità da tener presente, da conservare, da incrementare, s’è possibile fra tutti i fanciulli destinati a diventare contemporanei, compatrioti, cittadini di una medesima famiglia…senza questa tensione all’unità non potrà mai esserci famiglia, popolo, nazione.”
Quando il Governo decise di traslare le spoglie di Napoleone Bonaparte da Sant’Elena a Parigi, Lamartine che non aveva mai condiviso la politica di Napoleone, pur ritenendo suo dovere istituzionale ricevere le spoglie, ritenne anche suo diritto affermare: “Io non mi prostro dinanzi a questa memoria: non sono della religione napoleonica, di quel culto della forza che, nella mentalità del paese, si vede da qualche tempo tenere il posto della più seria religione della libertà. Io non credo vantaggioso deificare senza posa la guerra, sovraeccitare questo ribollimento già troppo impetuoso del sangue francese, che si presenta  come impaziente di scorrere dopo una tregua di venticinque anni, come se la pace, che è il benessere e la gloria del mondo, potesse essere la vergogna delle nazioni.”
Parlò apertamente alla Camera nel 1845  di fratellanza di tutte le razze e di tutti gli uomini, del rispetto di ogni religione e della necessaria separazione tra lo Stato e la Chiesa.
Le sue proposte camminavano tra la gente e creavano nuove speranze. Quando nel febbraio del 1948 i repubblicani insorsero chiedendo la riforma della Costituzione, Lamartine scese in campo personalmente  divenendo l’ispiratore del movimento della “Compagnia dei banchetti” che portò alla caduta del Governo Guizot e della stessa Monarchia e alla costituzione della seconda Repubblica. Fu capo esecutivo del Governo provvisorio e subito dopo Ministro degli Esteri.
Riprese tutte le sue battaglie politiche:  il diritto di voto a tutti, il diritto di proprietà ad ogni uomo, il diritto al lavoro: “Quando questi proletari mancheranno di pane, noi riconosceremo per loro il diritto al lavoro; intendendo per questo il diritto all’esistenza, il diritto a vivere…di guisa che nessun individuo non possa offrire le sue braccia senza trovar pane o soffrire senza  essere sollevato nel territorio della Repubblica.”
Auspicò la pace e non la guerra perché “una è la famiglia umana”. Ma il suo sogno durò poco. Con il ritorno dell’impero con Luigi Napoleone, a 62 anni Lamartine si ritirò dalla politica, ma la sua presenza aveva gettato semi nuovi sul terreno  francese e non solo, lasciando la testimonianza  di una vocazione politica che affermava  il  primato della propria coscienza.
Pagò il suo coraggio e la sua indipendenza con l’emarginazione e visse gli ultimi anni nella  povertà estrema. Morì povero a 79 anni nel 1869, nella solitudine.
I suoi discorsi politici furono tradotti e pubblicati  in Italia 1948 in Italia dalla Utet e letti con grande interesse dai nostri padri della Costituzione repubblicana.


Pasquale Lubrano Lavadera

da Il Golfo 14 marzo 2015

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