Procida non può dividersi sull'accoglienza a 34 immigrati

Procida: La casa comunale

Un grande polverone si sta alzando sull’isola per la realtà dell’accoglienza a 34 immigrati. Si parla addirittura di referendum.

Come mai tanta preoccupazione? Non abbiamo forse accolto in questi decenni centinaia e centinaia di immigrati nelle nostre case come badanti, collaboratori, impiegati, muratori, giardinieri? Non siedono i nostri figli nelle scuole accanto ai loro figli?
Se, alcuni tra loro hanno formato famiglia con i procidani, perché ora per questi 34  immigranti, che lo Stato ci affida, siamo allarmati a tal punto da invocare un’istituzione  come il referendum.
A rigor di logica se dovessimo applicare questo istituto del referendum , per coerenza lo dovremmo applicare per tutti gli immigrati presenti sul territorio. E sentiamo tutti che sarebbe una cosa assurda.
Ognuno  può e deve  esprimere il proprio parere ma sarebbe opportuno non litigare e non dividerci su questo problema.
Di fronte ad un piano nazionale di accoglienza, in un emergenza storica tra le più drammatiche - si parla di terza guerra mondiale in atto -  il solo pensiero  di rifiutare solidarietà a 34 uomimi, donne e bambini provoca in me un sentimento  di dolore e di amarezza grandissimo, perché come cittadino, come procidano, come figlio di questa terra felice, ho una forte esigenza  di far qualcosa insieme agli altri per difendere la vita di chi è in pericolo, per accogliere chi ha perduto ogni bene, per dare una pur minima occupazione a chi ha perso la dignità del vivere, ed offrire un po’ di sicurezza  ha chi ha perso la speranza
Mi viene da pensare ai nostri nonni che negli anni 30 - anni di miseria nera sull’isola - emigravano in cerca di lavoro  per sfamare i propri figli. Se non avessero trovato accoglienza in tante nazioni del mondo molte nostre famiglie avrebbero vissuto molto male. Se i nostri soldati in Albania, tra cui un buon gruppo di procidani, non avessero trovato, durante i lunghi mesi di guerra, l’accoglienza e l’aiuto del popolo albanese, sarebbero morti di fame e di freddo.
Mi viene da pensare anche a quella frase del Vangelo che è presente in tutte le religioni e in tutte le culture: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
Se io mi trovassi nella condizione di questi immigranti cosa desidererei?
Il popolo procidano – e spero di non sbagliarmi – proprio perché popolo di naviganti , è stato sempre aperto all’incontro con altri popoli e culture. Ha temuto nella sua travagliata storia solo la violenza e la prepotenza,  ma è stato sempre un popolo che ha affrontato con coraggio epoche  drammatiche, mettendosi insieme e non dividendosi.
E ora invece vogliamo dividerci  per questo pugno di famiglie con bambini che hanno bisogno di tutto?
Si tratta di 34 immigrati che fuggono dalla violenza dalla guerra, dalla fame e che, tra l’altro, non peseranno su di noi perché è lo Stato che provvederà economicamente al loro processo di integrazione.
A noi  aprire solo il nostro cuore, mostrare  la nostra umana solidarietà.
Ricordo sempre quello che mi diceva un carissimo amico che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita – forse molti lo ricorderanno : Vincenzo Cucurullo. Ebbene, quando lottavamo come procidani, tutti uniti, per avere una delle navi Caremar  costruite per le tre isole, ma che erano state poste in servizio solo per Capri e Ischia,  lui mi diceva: “Noi lotteremo fino alla fine  perché è un nostro diritto che ci viene negato, ma  dobbiamo anche saper lottare per i diritti degli altri, dei più poveri, di quelli che sono relegati ai margini della Storia. La solidarietà per queste persone è quella che ci fa uomini.”
Per questo penso che possiamo essere solidali con questi 34 “fratelli”: Sì, fratelli perché l’umanità è una sola  e nella la fase storica di interdipendenza in cui ci troviamo o ci salviamo tutti o periamo tutti
Quello che invece dobbiamo esigere dagli immigrati presenti sul territorio è il rispetto della nostra cultura, della nostra fede, delle nostre leggi, come noi rispettiamo la  loro.
Il popolo procidano non ha mai avuto paura di chicchessia, di chi aveva un’altra religione, un’altra fede; ha accettato sempre le diversità di condizioni sociali, di idee e di cultura. Ricchi e poveri si sono sempre integrati ed hanno convissuto in armonia. Solo una volta ci siamo scontrati duramente fra noi per l’ideologia: c’era chi voleva la repubblica e chi voleva la monarchia e quella volta l’abbiamo pagata cara. E da quella triste lezione del 1799  le guerre intestine si sono placate e se qualcuno voleva  innescare una miccia  lo si portava a miti consigli. 
Bisogna che anche questa volta evitiamo la divisione e la contrapposizione. Il confronto e il dialogo sicuramente, ma l’ultima parola spetta a, parer mio, al Consiglio Comunale eletto democraticamente da tutti noi. E in questo, per fortuna il Consiglio Comunale si è già espresso con chiarezza.  
Dire no a questi 34 fratelli  sarebbe, a parer mio, infangare la nostra storia, la nostra cultura, gli insegnamenti dei nostri padri,  che hanno affrontato le tempeste più dure, che hanno perso i loro figli nel mare  e - non lo dimentichiamo mai - hanno sempre saputo dividere il pane con chi non aveva di che vivere.
L’accoglienza che abbiamo avuto per alcune famiglie albanesi negli anni 90, quando cominciava il grande esodo, resta un esempio luminoso che ci fa onore.


Pasquale Lubrano Lavadera

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