Elisabetta Montaldo :"Cos'è la procidanità?"
L’estate a Procida finisce sempre
tra mille polemiche su come la nostra isola dovrebbe essere e com’è.
I villeggianti si lamentano del
traffico soffocante, della scarsità e scomodità dei mezzi pubblici e dei servizi,
della scarsa pulizia delle spiagge, dell’incuria che i procidani dimostrano
nella tutela delle proprie bellezze storiche e paesaggistiche.
Queste critiche talvolta vengono
rese pubbliche e regolarmente sono accolte con rabbia; si risponde che non si può
giudicare un luogo dopo pochi giorni di vacanza, che Procida è un paradiso per
chi ci vive tutto l’anno, che chi non è procidano non si deve permettere di
criticare e se, addirittura, un procidano si azzarda a farlo, viene bollato
come un traditore della procidanità.
Un atteggiamento simile è
disastroso se si vuol promuovere un po’ di turismo. Inoltre un miglioramento nei
servizi e nella tutela dell’ambiente non può che migliorare anche la vita dei
residenti.
C’è da chiedersi infine in che
cosa consiste davvero essere procidani.
Il filosofo inglese di origine
indiana, il premio Nobel Amartya Sen sostiene che le identità di ogni uomo sono
molte e sono in relazione all’ambiente che lo circonda, familiare, di lavoro,
di origine, di appartenenza religiosa, ideologica, sessuale….
Essere procidani dunque è solo
una parte di ognuno di noi e se il dato essenziale è l’amore per una terra che
si sente come propria, alla quale si sente di appartenere, l’amore non basta se
è un amore cieco.
Come non accorgersi infatti che,
mentre ci riempiamo la bocca definendo Procida “isola della cultura”, al Porto
di Marina Grande, a Saint’Co, la
nostra vetrina sul mondo, è ormai chiuso l’unico punto vendita di libri?
Il turista colto e sensibile che
tutti vorremmo ospitare arriva e non può comprare neppure un libro su Procida
che l’aiuti a comprenderla meglio ma neanche una guida turistica visto che un
Ufficio del Turismo non c’è. Il viaggiatore che attracca a Procida con la sua
barca o vuol passare da noi delle giornate quiete non trova un libro che gli
faccia compagnia finchè, sfidando auto e motorini non riesce a spingersi
rasente i muri fino all’Olmo dove per fortuna ha scoperto che c’è la Libreria
Graziella. “Ma da noi arrivano solo i veri viaggiatori” mi racconta Patrizia
“gli spiriti più avventurosi.”
Una libreria è un servizio
essenziale di una comunità civile ed è assurdo che non abbia un posto di
rilievo nell’antica e gloriosa Città di Procida.
Ma torniamo all’identità
procidana. Di recente abbiamo messo in esposizione permanente in Comune il
Costume di Graziella da me rifatto identico al modello settecentesco, assieme
alle brave artigiane Melina Del Giglio, Lena Costagliola di Polidoro e Maria
Capezzuto, attraverso un lavoro assai complesso durato un anno. Peppe Barra nel
suo intervento durante la cerimonia ha sottolineato che l’impresa era stata
condotta eroicamente in porto da Elisabetta che “procidana non è”.
Devo ammettere che ho avuto un
sussulto. Ma come, non basta che io viva qui da residente, che questa sia la
mia unica casa, che la famiglia di mio nonno sia procidana da generazioni, che
io abbia spesso vissuto l’isola estate e inverno nel corso della mia vita, che
ci abbia frequentato le elementari, che abbia dedicato a Procida tre libri, due
documentari, vari programmi tv, che scriva da anni sulla stampa locale? Come la
misuriamo quest’identità procidana? Dall’accento, dal cognome, dal colore della
pelle? Oppure da come ci offendiamo stupidamente ogni volta che qualcuno ci fa
una critica, dimostrando così di essere dalla parte del torto?
Su Facebook Marco Ambrosino ha dato vita ormai molti mesi fa ad un
bellissimo gruppo che si chiama “Procida Vieni Via con Me”. All’inizio l’idea
era di spiegare, sulla falsa riga del programma di Saviano e Fazio, le
motivazioni che spingevano a restare sull’isola o ad andarsene.
Parteciparono centinaia di
procidani di tutte le età, soprattutto residenti fuori dell’isola, ed è stato
veramente interessante vedere quanto amore trapelava dalle loro parole per la
terra dell’infanzia e quanto dolore per come era trascurata e snaturata. Quasi
tutti non desideravano tornare se non per brevi periodi di vacanza; era troppo
crudele, dopo aver girato il mondo e visto quante cose si possono fare e si
fanno in luoghi molto meno speciali della nostra isola stupenda, assistere al
degrado senza fine di Procida. Tanta amarezza trapelava da quegli scritti.
D’altro canto coloro che non si
erano mai mossi dallo scoglio si sentivano offesi da questo atteggiamento,
talvolta accusavano i procidani emigrati di aver perduto le loro radici, quasi
di essere dei traditori e facevano impropri paragoni tra le città moderne dove
questi vivevano e la dimensione più umana dello scoglio.
Ben presto questo gruppo, che
sarebbe potuto diventare un vero laboratorio di idee per il futuro di Procida
perché metteva insieme i procidani residenti, quelli in giro per il mondo, i
marittimi che sono a metà, tanti giovani, tante donne, cominciò ad afflosciarsi
sempre più proprio per l’incomunicabiltà che si era venuta a creare.
Cominciarono beghe, attacchi
personali e si precipitò in quella dimensione paesana e becera indegna del
passato di Procida ma che purtroppo ne caratterizza il presente.
E poi ci sono i “profeti in
patria”, tra i quali mi ci metto anch’io senza falsa modestia, quelli che
s’impegnano in prima persona per fare in modo che a Procida si faccia qualcosa
di buono e di onesto per il futuro. Quelli che ci mettono la faccia, che
scrivono sui giornali, che aprono un blog, che bonificano le terre incolte, che
difendono la natura, che studiano le architetture antiche, che non fanno gli
abusi edilizi e magari si spostano in bicicletta.
Per la strada tizio e caio ti
prendono sottobraccio e sottovoce rivelano abusi e nefandezze pubbliche e
private che vorrebbero fossi tu a denunciare, loro no, non vogliono esporsi,
farsi dei nemici, oppure sono semplicemente troppo pigri per andare a
denunciare l’ennesimo abuso sul territorio, preferiscono subire per quieto
vivere ma sarebbero contenti se ci pensassi tu. E magari queste persone
dichiarano a ogni piè sospinto il loro sviscerato amore per Procida e si
autodefiniscono veri procidani, sulla loro mono-identità non nutrono alcun
dubbio.
Così si protrae il degrado
ambientale accompagnato dal degrado morale e culturale di chi quest’ambiente lo
vive.
Alla fine ci si abitua a essere
mal governati, ricattati, esclusi da ogni decisione che riguarda casa nostra,
si guarda Procida crollare, perdere le sue risorse economiche e le sue bellezze
e l’unica reazione è dichiarare il proprio, cieco, amore.
Elisabetta Montaldo
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