Procida guarda il futuro con realismo e grande speranza

Procida Terra Murata: In giro sull'isola per anmmirare le sue bellezze architettoniche

Ogni Amministrazione ha meriti e demeriti. Non può che essere  così. Nessuna Amministrazione è passata invano, nel bene o nel male. Una cosa è certa: la vita amministrativa di una citta può cambiare la storia di quella citta. Si possono fare tante cose o poche cose ma non sono le cose fatte o non fatte a influenzare la storia della città. Ciò che cambia realmente una citta sono le modalità adottate nel fare le cose e il tipo di relazioni che si stabilisce tra la politica e il sociale. 

Ossia, a incidere sui comportamenti, sugli usi, sulle scelte, sul pensiero, sulla moralità di una città sono i processi culturali  avviati, i quali se bene innestati nel tessuto sociale produrranno in tempi lunghi modifiche strutturali e comportamentali corretti e sani di un intera popolazione.

Procida, purtroppo, ha un deficit socio-culturale molto forte accumulato nei secoli passati  e dovuto a drammi sociopolitici di vasta portata. 

Già alla fine dell'800 lo storico Michele Parascandolo evidenziava  la sofferenza storica e politica dell'isola, che aveva continuato ad infierire dopo le secolari aggressioni dei pirati e saraceni. In particolare egli analizza quello che avvenne con la nascita dell'era moderna sotto il regno borbonico:  l'eccidio dei repubblicani del 1799 con l'esilio di tantissime famiglie lasciò una ferita sanguinante, mai  elaborata storicamente. Sicuramente una tragedia che ancora oggi non ha pari nella storia delle piccole isole. Lo storico, un secolo dopo, ancora affermava che l'isola non era riuscita ancora a rialzarsi dopo quell'evento tragico e le conseguenza sociali erano più che mai ancora evidenti. 

Ma la scure continuò ad abbattersi sull'isola e a destabilizzare quel piccolo popolo indifeso e smarrito, con la trasformazione nel 1830 del meraviglioso palazzo reale, il Palazzo d'Avalos, in ergastolo borbonico, proprio nel centro storico dell'isola, costringendo la popolazione a vedere ogni giorno gli ergastolani incatenati percorrere le vie che dal porto fino a Terra Murata.

Le cruenti evasioni che si ripeterono, nei decenni successivi, soffocate in più delle volte in un bagno di sangue, sotto gli occhi di tutti, gettarono un ombra di terrore sull'intera isola. 

Ancora nel 1958 le nonne e i nonni procidani raccontavano ai loro nipoti l'atmosfera di paura che avvolgeva tutta l'isola, proprio per la tenebrosa presenza dell'Ergastolo.

Ma, come se ciò non bastasse,  il progetto borbonico andò avanti con la decisione nel 1845 di trasformare l'intera isola in ergastolo del Regno, abbattendo palazzi e chiese, affinché l'intera superfice dell'isola  potesse costituire la piattaforma del nascente grande ergastolo del regno Borbonico. I primi abbattimenti su Terra Murata provocarono una forte indignazione e il popolo di Procida  reagì con una manifestazione popolare a quella devastante decisione e vistosi non ascoltato  chiese con forza l'intervento del Cardinale.

Ma fu la Storia che cambiò il destino di Procida con i mori rivoluzionari del 1848 e la successiva fine del Regno borbonico.

Iniziò da quel momento una nuova fase di restaurazione lenta e faticosa, ripresero le attività di pesca e agricoltura e le costruzioni di velieri che erano stati il vanto e la ricchezza dell'isola. 

Ma 50 anni di ripresa rappresentavano un segmento storico esiguo per ridare un assetto positivo dopo tante tragedie. Infatti la crisi e la trasformazione della marineria a vela in quella a motore alla fine dell'800 privò l'isola della sua principale fonte di sviluppo economico. La povertà incombente e feroce determinò una massiccia emigrazione dei procidani in terre lontane che durò fino agli anni 30-40 del 900.

Le due guerre mondiali, se non provocarono ingenti distruzioni di beni immobili, determinarono  povertà economia e stragi di giovani vite mai più ritornate dai campi di battaglia.

La dittatura fascista ebbe il suo influsso devastante in un isola così duramente provata, per cui l'isola si trovò impreparata e fragile alla nascita della vita democratica, affidata agli  isolani.

Infatti al pari dell'intero territorio nazionale, la vita politica democratica  fu tormentata e conflittuale e per certi versi tale è rimasta fino ad oggi, con una differenza sostanziale rispetto alle citta della terraferma. 

Infatti, dal punto di vista sociologico, le conflittualità politiche vissute su ampi territori, non producono gli effetti devastanti che si possono determinare sul  territorio ristretto di un isoletta di 3,7 kmq come Procida, con un'alta densità abitativa  e segnata da una storia così feroce e dolorosa.

Pertanto se veniamo all'oggi dell'isola di Procida, e precisamente all'Amministrazione di Dino Ambrosino eletta il 31 maggio 2015 e riconfermata il 20 settembre 2020, dobbiamo registrare una certa discontinuità  con una linea politica ormai consolidata da decenni che si rifaceva, proporzioni fatte, alla linea nazionale con meriti e demeriti così come era  sull'intero territorio nazionale.

Discontinuità che possiamo individuare in una massiccia partecipazione di forze giovanili e nell'impegno esplicito e manifesto  di interi nuclei familiari. La qualcosa mai si era evidenziata prima.

Infatti la lista civica "La Procida che vorrei" che ha portato Dino Ambrosino ad essere Sindaco di Procida  ha avuto il merito di aver creato un vero e proprio movimento civico di adulti e giovani; giovani per la prima volta nell'agone politico. 

Una lista che ha portato nelle piazze la proposta di valori politici forti, quali il bene  comune, la  lotta al clientelismo, la legalità, la trasparenza negli atti amministrativi, la comunicazione costante  ai cittadini, il rispetto dell'ambiente, uno sviluppo economico sostenibile, precisando che il bene comune non è la somma dei beni individuali ma si configura in  scelte collettive di pubblico benessere all'interno del quale si realizza anche il bene dei singoli.

Visione nuova e ardita da parte di una squadra che ha infiammato le nuove generazioni  e tante famiglie. 

Soprattutto di fronte ad un passato tragico veniva evidenziata la volontà di non arrendersi ai propri limiti e nonostante le fragilità interne,  sognare un futuro di riscatto e di speranza nuova, creando  alleanza anche fuori del proprio territorio.

E sarà questa visione sociopolitica dell'isola che ha portato la Giuria del Comitato Nazionale per la scelta della Capitale della cultura nazionale,  a cambiare i parametri di valutazione e, anziché dare il titolo ad una grande città ricca di storia e cultura, scegliere come capitale  una piccola e fragile isola ferita dalla storia che ha tentato da sempre e tenta anche oggi con tutta se stessa di risollevarsi e offrirsi al mondo col suo patrimonio di bellezze naturali e storiche,  in una forte alleanza con le citta del territorio circostante.

La realtà è infatti sotto i nostri occhi. Noi vediamo che la Giunta di Dino Ambrosino, all'indomani dell'elezione, di fronte ad uno scenario devastante dal punto di visto economico e sociale, frutto della politica degli ultimi 50 anni, che non ha saputo sempre cogliere i segni dei tempi e individuare quelle scelte  decisive per un rafforzamento dei processi culturali e sociologici di trasformazione, tenta con coraggio il riscatto politico e sociale.

L'isola è allo stremo, le casse sono vuote, il bilancio in rosso, il predissesto dichiarato e il debito spaventoso. C'è il reale rischio che l'isola precipiti nelle mani di un commissariamento  così come evocato dalla Corte dei Conti.

La Giunta Ambrosino infatti si è trovata di fonte ad uno scenario terrificante, rischioso e con poche prospettive dinanzi. 

Ma è proprio in questo momento che si manifesta l'atto politico di grande valore morale e di grande generosità compiuto da Dino Ambrosino e della sua compagine,  per il quale tutta l'isola, compresa la minoranza politica, dovrebbe essergli grata.

Gratitudine perchè hanno sfidato il tempo avverso e si sono buttati nella tempesta  per trasportare l'isola fuori dal guado. Hanno innalzato le vele non solo per avanzare ma anche per contrastare i venti avversi.  Qualche vela  o qualche pennone è andato perso ma  la nave ha solcato le onde minacciose e nonostate urti e sobbalzi ha avviato un cammino di rinascita.

Non è mancato qualche errore di manovra, e qualche contrasto interno con relativo abbandono di membri dell'equipaggio. Ma pretendere in tale situazioni un cammino senza urti e inceppi è quanto meno pretestuoso e privo di realtà. 

Resta ancor molto da fare, ma cercare l'equilibrio tra i problemi incombenti, compiere le scelte più opportune, chiedere i finanziamenti necessari, avviare un processo culturale nuovo, non è qualcosa che si raggiunge in cinque anni  in un'isola avviata  al fallimento.

Ma proprio in tale circostanza occorre un passo politico nuovo di coesione interna e di sguardo attento all'esterno, per una finalità bene precisa.

Oggi più che mai  l'isola, senza alcun senso di colpa, deve gridare al mondo la sua storia, la sua fragilità  e più delle altre volte, avendo avuto il riconoscimento della nazione intera,  deve affermare a voce alta quei valori forti che oggi animano le scelte politiche, ed evidenziare quel processo culturale fatto di esperienze, il cui valore portante è il bene relazionale e la reciprocità nei rapporti, senza le quale anche la nomina di capitale non inciderà sul futuro dell'isola. 

Occorrerà ritrovare nei prossimi mesi quel clima di entusiasmo che il Movimento "La Procida che vorrei" ha saputo creare nel 2015 e nel 2020, in un rapporto continuo con la cittadinanza,  affermare i grandi sforzi che l'isola sta compiendo per mettere al bando ogni tipo di clientelismo e ambiguità, lavorando alla luce del sole, proponendo un economia di comunione che sappia farsi carico delle fasce più deboli, sostenendo e dando fiato all'integrazione dei popoli martoriati dalla miseria e dalle guerre, avviando una transizione ecologica sempre più attenta e sostenibile, e valorizzando il rapporto con le Scuole e con il volontariato. 

Ai visitatori che verranno sull'isola per conoscere i motivi della nostra nomina a capitale offriremo le nostre bellezze naturali, la nostra storia dolorosa e il continuo e mai arreso senso di riscatto non da soli ma insieme a quanti vorranno condividere il nostro cammino.

Pasquale Lubrano Lavadera

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