IL MIO RAPPORTO EPISTOLARE CON ANNA MARIA ORTESE

 

Anna Maria Ortese (1914-1989)


Riporto la mia esperienza relativa al rapporto con la scrittrice Anna Maria Ortese, così come ho potuto comunicarla nelle varie presentazioni tenutesi  a Procida, Ravenna e Napoli.

Questa esperienza ha potuto nascere e svilupparsi, seppure in un breve periodo, l’ultimo della vita della Ortese, perché lei ha colto il mio desiderio di costruire un rapporto vero con lei, sollecitato dai suoi scritti che  avevano creato in me forti emozioni e sollecitazioni interiori che mai avevo provato prima.

Ho cominciato a lavorare nella scuola insegnando matematica fin dal 1972. Dal 1978 ho collaborato alla rivista nazionale Città Nuova, a Nuova Umanità e più tardi alla rivista torinese Il nostro tempo.

10 anni dopo nel 1988 pensavo di incontrare a Procida la scrittrice Anna Maria Ortese per un’intervista. Infatti le era stato assegnato il Premio “Procida - Isola di Arturo - Elsa Morante” per il libro In sonno e in veglia.

Ma la Ortese non si presentò, per cui mi limitai a scrivere una recensione al suo libro pubblicato dalla Adelphi  e glielo feci pervenire.

Fu l’inizio di uno scambio epistolare e di alcune lunghe telefonate.

Infine il silenzio e la notizia dalla stampa della sua scomparsa.

Mi dicevo: il tutto  poteva fermarsi a quella prima recensione. Che cosa mi aveva spinto ad osare di più?

Va subito detto che pensando all’intervista cercai di documentarmi su di lei …la vita le opere…i riconoscimenti. E più mi addentravo  nella conoscenza di lei più capivo la diversità che c’era tra me e lei, diversità di formazione, di impegno sociale, di scelte politiche.

Ma questa diversità anziché frenarmi  mi predispose  ad un avvicinamento sempre più forte..

Vi chiederete il perché?

Nato da una famiglia di orientamento cattolico e vissuto nella piccola isola di Procida, una delle più piccole isole italiane, 3,7 kmq con 11.000 abitanti, avevo incontrato  a 17 anni il sacerdote Don Michel Ambrosino, mio docente di religione nelle scuole medie.

Una persona molto aperta alle novità del Concilio: fu il primo prete che lasciò la veste talare per vestire come tutti noi,  aperto ai nuovi movimenti, amico di Roual  Folleron  e Ernesto Balducci , nonché scrittore.

Mi chiese di aiutarlo a creare un circolo culturale di lettura per giovani. Avevo  17 anni ed ebbi da lui, nel primo incontro, il suo primo libro Chi è San Giuseppe con una dedica.

Nell’ambito della sua comunità nel 1966 nasceva una esperienza politica  fatta da giovani in contestazione col predominio assoluto nell’isola della DC, alla quale partecipai con grande impegno.

In quello stesso anno Don Michele  volle che un gruppo della sua comunità, tra cui anche io, conoscesse il  Movimento dei Focolari, un’esperienza di rinnovamento  evangelico nato a Trento  durante la guerra per opera di una studentessa di filosofia, Chiara Lubich, cattolica ma di padre socialista e col fratello Partigiano e comunista redattore dell’Unità.

Tre diverse fedi ma cementate dall’amore familiare, un amore che non verrà mai meno.

Fui coinvolto intimamente dall’esperienza e cominciai a viverne lo spirito con un gruppo di volontari che operava a Napoli. Ci impegnammo a lavorare per un popola Bangua in Camerun che si stava estinguendo per fame malattia e mancanza di risorse economiche.

Avevamo un grande debito verso il popolo africano,  un popolo che abbiamo sfruttato e maltrattato per secoli. Era giunto il momento di pagare questo debito lavorando per la loro rinascita e la loro indipendenza economica.

Nasceva nel 1967 l’Operazione Africa, esperienza ancora in atto che ha dato i suoi importanti frutti. Nascevano ospedali, centrali elettriche strade, case, scuole, veri e propri villaggi in vari territori del continente africano.

Campi di lavoro nati in ogni nostra piccola o grande città ed anche sull’isola di Procida.

Ma ci fu qualcosa che mi affascinava in quell’esperienza e che veniva sottolineato nel progetto iniziale.

“Non saremo colonizzatori sociali o religiosi di questi popoli, rispetteremo le loro tradizioni e le caratteristiche umane e sociali e non metteremo in atto alcun tentativo di proselitismo cattolico in quanto esso è egoismo ideologico e culturale. L’amore cristiano dona senza pretendere nulla, dialoga fraternamente con tutti gli uomini incamminati sulla via della pace della giustizia e del riconoscimento dei diritti dell’uomo, di qualsiasi fede o convinzione.”

Era una visione affascinante che cercai di far mia e vivere, pur nei miei limiti,  nell’isola, a scuola, nelle azioni che nascevano. Capivo che solo  nel dialogo con tutti avrei potuto dare un contributo alla costruzione di un mondo unito nella fraternita e nella pace.

Fu questa la spinta interiore che mi permise di accostarmi sempre più alla Ortese, di cui sapevo la sua fede socialista,  descritta nel romanzo Poveri e semplici che le valse il Premio Strega nel 1967 e dove scriveva: “Il mio ideale è lavorare per l’umanità mediante il mio lavoro di scrittrice, collaborare alla pace e al miglioramento degli uomini.”

Avevo altresì conosciuto aspetti dolorosi della sua vita in tutti campi, dal campo sentimentale a quello lavorativo di scrittrice, dovuti in parte al suo carattere  volitivo e forte, alle continue difficoltà economiche, al suo peregrinare continuo in diverse città fino a fermarsi poi con una sorella gravemente malata a Rapallo in Liguria.

Più leggevo i suoi libri e più ero affascinato dalla sua sensibilità e dalla sua ricerca interiore di un bene assoluto capace di abbraccia la vita dell’intero universo. Anche lei, pur nei limiti esistenziali in cui viveva,  aspirava al riconoscimento della bontà, all’unità della famiglia umana e alla pace quali valori fondamentali per la vita sulla terra.

In lei un “dolore cosmico” per ogni atto di violenza per ogni guerra, per ogni violenza sulla natura e sugli animali

Ricordo che in una delle prime lettere, in risposta alla sua richiesta esplicita di conoscere la mia vita e quella dell’isola  potei raccontargli  l’esperienza che vivevo e che mi permetteva di aprirmi al dialogo con tanti.

Continuai a leggere le sue opere e a recensirle sulle riviste dove scrivevo e aspettavo sempre il suo parere per sapere se avevo colto o meno  il suo pensiero .

Fu per me un momento di grande gioia quando ad un convegno europeo sul dialogo  con persone di convinzioni religiose e non religiose, potei donare a tutti questa esperienza straordinaria che  vivevo con la Ortese.

Quando lei scomparve provai il dolore che si prova quando si perde un familiare. E scrissi su Città Nuova qualcosa di questa esperienza.

Avevo conosciuto in quegli anni un altro importante scrittore a Napoli, Mario Pomilio, col quale ero entrato in rapporto. Ebbene ricordo che   chiesi a lui  qualcosa sulla vita e sulle opere della Ortese. E lui , con grande rispetto e delicatezza, mi fece intuire le coordinate esistenziali di questa donna, grande scrittrice: “Le incomprensioni letterarie, gli amori poco fortunati, la violenza della guerra, la morte dei due fratelli di cui uno in guerra, , il desiderio di una pace universale  sempre desiderata ma non ancora apparsa all’orizzonte, il dolore acuto per tutte le forme  di prevaricazione, di ingiustizia e di attentato alla vita nella vita del pianeta, la mancanza di pace in tanti punti del pianeta….”

“Sì, disse Pomilio, non ho mai conosciuto una sensibilità al dolore così acuta  come quella vissuta dalla Ortese.”

Fui grato a Pomilio per questo sguardo illuminante che mi pose , dopo la scomparsa, dinanzi alle opere della Ortese con amore ancora maggiore.

Avevo conservato le sue lettere come qualcosa di prezioso e questo libro che oggi presentiamo, che le riporta integralmente, non sarebbe nato se un giorno del 2004  non mi fosse giunta una telefonata  dall’Archivio di Stato di Napoli .

Era la dr.ssa Rossana Spadaccini responsabile del nascente FONDO ORTESE in Archivio.

La Spadaccini, madre di un mio studente alla Tito Livio di Napoli,  dove insegnavo in quegli anni, conoscendomi mi chiese come mai  tra le carte della ortese comparivano alcune mie foto. Erano le foto che io avevo spedito alla Ortese che voleva conoscere la mia famiglia.

Ebbene raccontati alla Spadaccini quello che era accaduto in quegli anni.

 Sollecitato anche da Donatella Trotta che aveva pubblicato un ampio articolo su queste lettere sul Mattino, ebbe luogo la mia donazione all’Archivio di Stato di Napoli delle lettere della Ortese e dei miei scritti e, successivamente fui invitato a raccontare la mia testimonianza nel 2006 al primo convegno nazionale sulla Ortese promosso dall’Archivio.

Quindi anni dopo la pubblicazione di questa testimonianza  per i tipi della casa editrice IOD in occasione di Procida Capitale della cultura italiana.

E veniamo ora a Procida che compare nel titolo del libro.

In quel 1988 come dicevo la Ortese non giunse a Procida ma in gioventù quando viveva a Napoli  vi era stata varie volte insieme ai suoi amici scrittori.

Raffaele La Capria ne parla in uno dei suoi libri e racconta che La Ortese era abbagliata e affascinata della luce di Procida “Tutta quella luce pura”.

Anche in una sua lettera lei mi chiese se a Procida c’era sempre tutta quella luce.

Mi ringraziava quando le davo notizie dell’isola, come di qualcosa di lontano ma prezioso, che apparteneva alla sua gioventù.

Leggendo L’iguana uno dei libri più arditi  della Ortese ambientato su una piccola isola semi deserta, io ho intravisto la mia isola negli anni 50, un’isola pressoché selvaggia,  che avrebbe ispirato il romanzo L’isola di Arturo a Elsa Morante e catturato anche il poeta romagnolo Marino Moretti, che sull’isola passò molte estati insieme alla sua amica francese  Juliette Bertrand.

Posso anche pensare che  attraverso il nostro rapporto a distanza forse si riapriva nel suo cuore la realtà  luminosa dell’isola.

Una piccola isola marinara dove tutti gli uomini vanno ancora per mare sulle navi, come i suoi due fratelli che avevano certamente navigato anche con marinai procidani.

Pertanto possiamo  affermare che  il rapporto di Procida con Anna Maria Ortese  che il titolo del libro evoca,  era un rapporto simbolico e ideale, fortemente sentito già prima che io entrassi in contatto con lei.

Lo testimonia il messaggio che lei inviò alla giuria del Premio  e che fu letto quella sera stessa e poi riportato dalla stampa. Un messaggio un po’ misterioso che forse lasciò interdetti  quanti aspettavano un elogio sperticato del Premio al suo libro di cui non parlò.

Contraria in maniera assoluta alla cultura dei premi, aveva più volte affermato che non si giudica l’opera di uno scrittore come non si giudica il lavoro di un operaio o di un contadino.

Non rifiutò il premio di Procida perché era associato a un nome, Elsa Morante,  che per lei era il massimo della bellezza dell’arte letteraria.

Quel premio le richiamò questa grandezza della Morante e non pensò più al suo libro.

E con uno sguardo  cosmico inviò quella sera un messaggio a tutti i presenti  come se la Morante fosse ancora sull’isola, innalzandola al vertice dell’Olimpo letterario italiano e, rivolgendosi direttamente a lei nelle ultime parole la consegnò  all’isola di Procida  come figlia prediletta:

“Non dispiacerti più Elsa di tutte lo cose passate. Ora non danno più male, ora non accadranno più, E resta per favore con noi stasera, fai festa alla tua fanciullezza, e alla tua gioventù spaventata. Sei in patria, tristezza e paura non ci sono più. Molti amici e anche questo mare ora ti difendono, ora per sempre  ti vegliano di amano.”

Anna Maria Ortese quella sera, se pur lontana fisicamente, fu presentissima sull’isola di Procida e volle esprimere un amore grande per essa elevandola a patria della più grande scrittrice italiana, perché capace di difenderla dalle sofferenze e dalle  ingiurie.

Nessuno fino a quel momento aveva osato tanto per la piccola isola di Procida, in maniera così esplicita. Nessuno aveva definito con tanto amore il popolo procidano. Anna Maria Ortese lo fece.

Comprendere questo mi ha permesso di legare per sempre,  al di fuori del tempo e dello spazio, il nome della Ortese a Procida, la mia isola e per questo ho voluto dare come titolo al libro che riporta le lettere che mi inviò in quegli anni   Anna Maria Ortese e l’isola di Procida

Pasquale Lubrano Lavadera  


Pasquale Lubrano Lavadera, Anna Maria Ortese e l'isola di Procida - Storia di un epistolario. Prefazione di Filippo la Porta. Edizioni IOD  

il libro può essere richiesto diretta mente alla casa editrice con  questo link:

https://iodedizioni.eu/collections/catalogo/products/annamaria-ortese-e-l-isola-di-procida


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