Antonietta Righi: "Fare qualcosa di più per i giovani"
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Antonietta Righi con suo marito Antonio Salvemini e il nipotino Gabriel |
Abbiamo rivolto alla Pittrice Antonietta Righi alcune domande sulla sua vita di artista e sul futuro dell'isola.
Quando hai scoperto la tua vocazione artistica?
Quando hai scoperto la tua vocazione artistica?
Avevo 8 o 9 anni quando sentii in
me il desiderio di dipingere. Abitavo alla Marina Grande in uno dei più antichi
caseggiati situato al lato Nord, e dal
mio balcone cominciai a disegnare tutto quello che vedevo, la chiesa, le
barche, le case, le persone. Ricordo che mio padre, nel vedermi con quelle
matite in mano e per giunta al balcone, si innervosiva. Ma, stranamente,
nonostante avessi timore di lui per la sua severità, continuai imperterrita a
disegnare. Dopo le elementari andai a scuola media, ed ebbi una ragione in più
per continuare a disegnare in quanto tra le materie scolastiche c’era artistica
e mio padre non poté più fermarmi, anche se borbottando continuava a dirmi: “Ma
che stai facendo, vai a vedere in casa se c’è qualcosa da fare!” Col tempo,
poi, si è ricreduto e quando realizzai le prime mostre fu molto orgoglioso di
me e gli piacevano molto i miei dipinti.
Ma in famiglia c’era qualcuno che ti sosteneva?
Mamma mi lasciava fare, mia
sorella Adele, invece, mi sosteneva e mi incoraggiava. Esultai di gioia quel
giorno in cui volle regalarmi la prima cassetta di colori ad olio con tavolozza
e pennelli.
Devo a lei la svolta che,
attraverso la pittura ad olio, ha preso
la mia vita. Quando poi qualcuno poi continuava a disapprovarmi, io
ricordavo che in famiglia c’era già stato un artista, mio nonno Ignazio Righi.
Venuto qui a Procida da Pesaro per lavorare nel carcere, incontrò mia nonna
Maria e da quel giorno la famiglia Righi mise radici nell’isola. Amava molto la
musica e suonava molto bene il pianoforte. E fin quando è vissuto ha coltivato
la sua passione.
Cosa ti ha dato la pittura, ha influito sul tuo carattere?
Ero molto timida e provavo
disagio a stare con le persone sconosciute. Stavo bene solo con le persone del
mio caseggiato, persone semplici senza pretese, senza istruzione. Se non ci fosse stata la pittura forse sarei
rimasta chiusa nel mio ambiente e non mi sarei aperta ad altri rapporti.
Sicuramente la pittura mi ha dato coraggio, forza; quello che non riuscivo a
dire con le parole, lo dicevo con i miei quadri, dove rappresento il mio mondo,
i miei affetti e sentimenti. I miei quadri oggi sono in giro per il mondo, ma
penso di non essermi montata la testa e di essere sempre quella che ero. Non
rinnego le mie umili origini, anzi ne sono orgogliosa. I personaggi dei miei
quadri sono sempre gente semplice e umile che ama la vita. Quando dipingo mi sento
spiritualmente bene e più vicina a Dio.
Sono felice di donare attraverso la pittura le cose belle che mi circondano e
che colpiscono il mio animo.
Oltre alla fede quali altri valori sostengono la tua esperienza di
moglie e madre?
L’Amore e il sacrificio, che mi
rendono forte anche nelle difficoltà. Ma anche il valore dell’unità nella
coppia. L’unità con Antonio mio marito è stata l’ancora di salvezza in tanti
momenti. Molti giovani amici si separano
e quando io chiedo loro il perché della rottura loro mi dicono: “Perché è
finito l’amore.” Allora io racconto loro la mia esperienza e dico: “L’amore è
come una bella ma piccola pianticella che va coltivata, sostenuta, altrimenti
sì che muore. La difficoltà nella coppia ci sono per tutti, ma affrontare le difficoltà
e superarle ci permette di trovare un amore ancora più grande, un amore maturo,
diverso da quello di due fidanzati.” Un altro valore importante è la
solidarietà: ritengo che bisogna essere attenti alle necessità degli altri,
fare il bene; essere solidale con chi è in difficoltà mi rende felice. E poi
amo la pace e questo lo devo a miei genitori. Mamma non si stancava mai di
ripeterci: “Se c’è qualche litigio, non attizziamo il fuoco, anzi buttiamo
acqua sul fuoco, perché torni presto la serenità e la pace.” E questo sia in
famiglia che fuori. Ho tre figli maschi, Michele Claudio e Bruno, e fin da
piccoli ho cercato sempre di dialogare e parlare affrontando tutti i problemi,
trasmettendo loro i valori che ho ricevuo dai genitori.
Ami la tua isola?
Moltissimo e soffro quando vedo
che ci sono problemi non risolti. Primo fra tutti quello del traffico. Io
cammino sempre a piedi, ma vedo che è pericoloso, perché auto e motorini
corrono paurosamente. Un vecchietto non
può più uscire di casa, si sente smarrito e indifeso. Un altro problema è
quello dei giovani che non trovano lavoro e sono costretti ad emigrare. Bisogna
fare qualcosa di più per i giovani e avere maggiore attenzione per le loro
esigenze sane. Anche le associazioni dovrebbero essere sostenute e valorizzate.
Vorrei inoltre che la politica ci aiutasse sempre a
rispettare la dignità di ogni persona, ad essere onesti, a volere il
bene di tutti, a salvare Procida dall’incuria e dall’abbandono.
So che hai partecipato in giugno con successo al Premio d’Arte Città di
Fiuggi.
E’ stata un esperienza molto
bella e gratificante. Ho già vinto il Premio del Pubblico e sono giunta fra i 5
finalisti.
A un giovane che si sente smarrito, insicuro per il futuro, cosa
diresti.
Direi quello che ho sempre detto
ai miei figli: “Impariamo ad ascoltare le esigenze più vere che sono dentro di
noi e poi cerchiamo di realizzarle e non smettiamo mai di sognare e lottare per
realizzare i nostri sogni.” Io ho voluto molto bene a mio padre ma quando lui
mi ostacolava sulla pittura, io andavo avanti perché capivo che quella era la
mia strada. Sono stata colpita ultimamente da due pensieri per i giovani, uno
scritto da Giovanni Paolo II e l’altro da Carlo Azeglio Ciampi. Giovanni Paolo
II dice ai giovani di puntare a fare il
bene, dando un aiuto a chi ne ha bisogno; Ciampi invece insiste sull’impegno in
ogni realtà della vita, per trasformare i sogni in progetti concreti. Anche io
auguro tutto questo ai giovani. Solo facendo il bene e lottando per realizzare
i propri sogni si trova la felicità.
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