Don Michele Ambrosino: Sognava una chiesa accogliente e povera
Don Michele Ambrosino con il Prof. Romolo Runcini |
Pensiamo
che Don Micele Ambrosino sia stato uno dei preti che, silenziosamente, con la
sua testimonianza, abbia combattuto il clericalismo presente nell'isola. Non
certamente l'unico, ma tra tutti i preti procidani è stato quello che ha
manifestato con chiarezza il convincimento che il clericalismo è un grande male
per la Chiesa e per l'Umanità perché impedisce un' osmosi serena tra religiosità
e laicità e non aiuta i cristiani a vivere il Vangelo
Aveva
fortemente capito che il cristianesimo porta valori che possono contribuire a
migliorare la nostra società, valori quali lo spirito di servizio, la solidarietà, l'accoglienza di ogni essere umano, l'aiuto agli
indigenti e ai poveri, il rispetto per la natura, la correttezza nei rapporti, la lealtà,
la trasparenza, il perdono, la reciprocità nella relazione e l'integrazione
fra popoli e culture.
Valori
che vanno vissuti nella laicità e senza patacche religiose affisse
a scopo pubblicitario.
Per
lui Gesù storico era uno dei grandi martiri dell'umanità che aveva promosso
l'uguaglianza, la libertà e la fraternità fra tutti gli uomini, abbattendo
quelli divisioni in caste che tanto male avevano prodotto nel genere umano. La
sua adesione alle istanze del Concilio Vaticano II e alla rivista Testimonianze
di Padre Ernesto Balducci lo testimoniano.
Gesù
va in casa del corrotto esattore delle tasse e lo trasforma in "uomo nuovo",
accoglie la prostituta e gli rinnova il cuore, entra nei gangli della società e
annuncia le beatitudini, invita l'umanità a farsi carico degli affamati, a istruire gli ignoranti, assistere gli ammalati, accogliere gli stranieri, a
combattere le ingiustizie e ad essere operatori di pace. Non passa le giornate a organizzare funzioni religiose nel tempio. La stessa Eucaristia l'ha istituita durante una cena.
Pertanto Don
Michele aveva capito che la sua missione
di prete non poteva esaurirsi nel recito del tempio, ma doveva svolgersi lì dove ogni giorno la
vita lo conduceva, nella società più prossima e in quella lontana, nella
parrocchia e nella scuola, nell'isola e nella metropoli.
Diceva sempre che una famiglia chiusa in se stessa, che non si apre come dono all'umanità,
muore per asfissia, così anche la parrocchia. I confini geografici tra parrocchia e parrocchia non
erano limiti invalicabili e di qui la sua apertura al territorio isolano tutto,
accettando anche le riserve sul suo operato da parte di chi non ne condivideva
il pensiero.
Era un
uomo che seguiva la propria coscienza e questo poteva dar fastidio in una ambito abbastanza clericalizzato.
Anche quando nascevano conflittualità con altri preti non esasperava il conflitto e cercava sempre un punto di superamento e di riconciliazione se era possibile. Molto addolorato quando la pacificazione gli veniva rifiutata. Un uomo controcorrente che sapeva soffrire spesso nel silenzio e che ha vissuto anche momenti duri di solitudine.
Ogni
essere umano che incontrava, a cominciare dagli alunni a scuola, era per lui
l'occasione per amare Dio in quella persona, avendo ben chiaro nella sua anima la parola
del Vangelo: "Ogni volta che avete fatto queste
cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete
fatto a me”. (Mt. 25,45)
Il suo
primo insegnamento all'Istituto Genovesi di Napoli lo portò per alcuni anni a contatto
con la grande realtà metropolitica di cui conobbe vette e abissi, luci e ombre
e fu quella la sua prima esperienza di contatto con una società composita e con forti
contrasti. E in quel contesto diede tutto se stesso per formare quei giovani napoletani ai valori
cristiani. Molti di essi si legarono fortemente a lui.
Ricordo
ancora quando questi giovani, ormai professionisti affermati nella città,
venivano sull'isola a salutarlo e lui li presentava a noi giovani di Azione Cattolica.
C'era tra loro anche un giudice e lui, dopo avercelo presentato, volle che
parlasse a noi di diritto e giustizia.
Nel
1961 creò il primo circolo di lettura per giovani. A Procida in quegli anni si
leggeva poco, non esistevano librerie e lui fece arrivare in questo circolo
riviste letterarie, cinematografiche
ambientali e sociali, inaugurò una piccola biblioteca e diede a noi tutti un forte impulso
formativo attraverso quelle riviste.
Rispettava
le scelte di noi giovani e mai esercitava forme dl proselitismo: non ci
invitava mai a partecipare all'Azione Cattolica o ad andare a messa. Preferiva testimoniare con laicità la sua fede,
lasciando che fosse Dio a parlare ai nostri cuori, nella libertà.
Nel
circolo di lettura dava fiducia e stima a tutti e ogni 15 giorni un giovane o una giovane leggeva un libro e ne parlava agli altri. Anticipava quello che la scuola
ancora oggi non sempre riesce fare. A tanti di noi, quella "scuola di
cultura" che lui aveva creato offriva stimoli e interessi che migliorarono
anche il nostro rendimento scolastico. Ricordo ancora quando ci capitò tra le mani la vita di De
Gasperi. Fu per noi l'aprirsi di un mondo sconosciuto come quello della
politica e capire che fede e politica si
coniugavano nella giustizia e nell'amore per gli ultimi.
Un'esperienza
che segnò la vita di molti e che ha dato in termini di servizio alla società i
suoi frutti nel tempo. Un'esperienza a 360 gradi fatta senza clamori o proclami, come era
nel suo stile, ma nella concretezza.
Nel
circolo di lettura, un giorno, venne anche la preside Maria Monaco Parascandola a parlare
di Arte, e noi tutti, abituati a vederla come l'austera Dirigente della scuola
media, scoprimmo invece la sua profondità
di anima e la sua grande umanità che la portava a dialogare amabilmente con noi
giovani.
Un
rapporto speciale si creò con il prof. Antonio Ambrosino, già sindaco negli
anni 50. Venne a parlarci dei problemi
dell'isola e della Nuova Frontiera aperta in America da Kennedy. Proprio con il
Prof. Antonio Ambrosino in alcuni di noi si accese il germe di un impegno
politico che sarebbe sfociato in una lista
nelle elezioni del 1966.
Nota
caratteristica del carattere di Don Michele. ma anche della sue scelte, era la cura dei rapporti che sapeva costruire
con delicatezza rispettando molto anche chi aveva convinzioni diverse e spesso
lontane dalla fede.
A noi
giovani di Azione Cattolica dava fiducia
nelle iniziative senza alcuna supervisione censoria. Non spegneva mai un
'iniziativa o una proposta. Se mai, interveniva dopo per corregger o
aggiustare.
Aveva
capito che la creatività era un talento che andava coltivato nei giovani, anche
se qualche volta portava fuori dal seminato. Ricordo quando nacque il giornalino
ciclostilato: si fidò di noi e accettò
anche qualche articolo eccessivamente
polemico.
Nel
fondo del suo animo, era contento di vederci entrare nei problemi del
territorio, perché sentiva che la fede autentica deve portare i giovani ad
interessarsi del proprio territorio e a
costruire quel bene comune che doveva essere sempre l'obiettivo più
grande di ogni politica.
E non
gli apparve per niente azzardata la proposta che qualcuno dei suoi giovani gli
fece: portare a Procida, al cinema Moderno, film che non avremmo mai visto come
la Strada di Fellini e il Posto di Ermanno Olmi. L'esercente di
allora si rese disponible con opportusa prevendita.
In
sordina, con le suore di San Paolo, nel 59 era nata la Fiera del libro delle
ore serene, ma nel 1961 quando le
suore decisero di non poter più venire a Procida lui chiese a noi giovani di
prenderci sulle spalle la Fiera del libro e portarla avanti. Passavamo
giornate intere a formare gli elenchi dei libri da scegliere e a trasformare la
sala PIO XII in una grande biblioteca a aperta a tutti con libri di ispirazione
cristiana e non.
L'iniziativa
fu l'occasione prima per avvicinare i procidani alla lettura. La si lanciava
ogni estate con striscioni che venivamo messi in punti diversi dell'isola e con
un lavoro molto puntuale e capillare di inviti che venivano consegnati a mano.
Novità
assoluta per Procida. Con la presenza di giornalisti e scrittori affermati che
ci aiutavano ad uscire da quel provincialismo nel quale, senza accorgercene,
eravamo tutti immersi .
Un
giorno ci parlò della lotta alla lebbra e alla fame di Raul Follerau, e accese
il nostro animo, per cui ci lanciammo con varie iniziative per reccogliere fondi facendo anche grandi
sacrifici e raccolte di firme.
Non
amava rinchiudersi in sacrestia, lo trovavi al bar della Chiaiolella seduto con i pescatori o con i giovani. In
estate poi curava i rapporti con i turisti che aveva modo di incontrare. Proverbiale
fu l'incontro con il giornalista Cavallo col quale la sera si intratteneva al
bar insieme ad alcuni di noi. Momenti esaltanti e culturalmente forti per noi
giovani che ci aprivano alla
relazione oltre i limiti dell'isola.
Quando
poi si accorgeva che qualcuno di noi aveva qualche talento artistico o di
scrittura ci invitava ad andare avanti e valorizzava le nostre creazioni. E fu chi si dedicò alla
politica chi alla pittura chi alla scrittura chi al giornalismo.
Fu contento quando promuovemmo la prima mostra di arte fotografica organizzata in collaborazione con Giancarlo
Cosenza, uomo di cultura che aveva pubblicato il primo libro sull'architettura procidana.
La
mattina poi spendeva parte del suo tempo nella bottega dei barbieri Tonino e
Alisandrino: un'occasione provvidenziale per incontrare e ascoltare le voci del
paese, conoscere gli affanni e le gioie dei suoi parrocchiani, intervenendo
sempre con prudenza e con rispetto.
Una
delle cose più belle da lui realizzate, fu quella di scrivere lettere ai naviganti lontani:
lettere di straordinaria spiritualità ma anche di concreta vicinanza alle
sofferenze dei nostri uomini sbattuti nei mari del mondo.
Cercò
di limitare le feste padronali dando loro un taglio più laico e culturale, nonostante
l'opposizione di tanti legati alla
visione clericale della Chiesa. Temeva fortemente che questa forme tradizionali
di religiosità, vissute più per tradizione che per fede, offuscassero la vera dimensione sociale del cristianesimo,
che andava vissuta nei rapporti interpersonali,
per cui fu sempre attento nel limitare certe esagerazioni liturgiche trionfalistiche che niente avevano a che fare
con la vera religiosità.
Fu uno
dei primi sacerdoti che dopo il Concilio dismise l'abito clericale ed eliminò orpelli e statue nella sua
parrocchia di San Giuseppe, offrendo la purezza dello stile e la semplicità
delle forme liturgiche, mettendo al bando le cosiddette "parate".
La
chiesa per lui non era il luogo dello sfavillio di luci o di barocche
acconciature, retaggio di quel trionfalismo ecclesiastico che ben si sposava
con il vecchio potere temporale. Lui voleva che il" tempio di Dio" diventasse
spazio di accoglienza e di preghiera.
Interagiva
con i politici locali di fronte a problematiche scottanti, non temendo di
contraddirli. Diceva sempre che l'amore per tutti non era "silenzio
complice" di fronte a scelte che offendono la giustizia e i poveri. Infatti mai ha taciuto di fronte a scelte politiche che gli
apparivano poco rispondenti ai principi di democraticità e di giustizia,
facendosi anche molti nemici tra gli uomini politici.
Lo
ricordiamo a scuola ne primi anni di insegnamento a Procida. Con il
quotidiano in tasca e con la sua corretta e mai invadente posizione. La sua
parola sempre lineare e sapiente. I suoi
occhi verdi illuminavano il volto ed entrava in classe sempre col sorriso sulle
labbra. Mai un tafferuglio con lui, mai un diverbio con i ragazzi. Ci porgeva
il suo discorso come un dono e come dono accoglievamo la sua parola. Era
convinto che la scuola dovesse incidere sulla formazione dei ragazzi in un sano
rapporto con le famiglie.
Il
Concilio lo entusiasmò, e sempre ci parlava della grande novità di quell'evento
che rendeva la Chiesa più vicina al popolo, con un taglio netto con la chiesa
trionfalistica e poco aperta la dialogo.
Fu il
primo a leggere l'Isola di Arturo e a diffondere il rispetto
dell'ambiente e dell'architettura procidana, promuovendo la rivista le Vie d'Italia.
Creò
infine negli ultimi decenni un gruppo di cultura con professionisti isolani
collegati alla rivista La Rocca della Pro Civitade Cristiana di
cui aveva conosciuto e stimato il fondatore e l'esperienza.
Avvertì
inoltre che c'era stata una grave carenza della Chiesa
locale nella formazione e nell'aiuto alle famiglie, per cui volle fortemente negli anni ottanta che nascesse un movimento formativo per
aiutare le famiglie sia nel rapporto di coppia sia nell'educazione dei figli.
Ci ha
lasciato vari libri dove possiamo leggere
e comprendere il suo pensiero. Libri essenzialmente legati alla sua
attività pastorale, acuti e di sorprendete attualità. Non ha mai messo da
parte il suo amore per la lettura fino agli ultimi giorni della sua vita e agli
amici che lo visitavano regalava l'ultimo libro letto.
Se
oggi nell'isola di Procida ci sono molti che hanno scoperta l'importanza del
libro lo si deve a lui. Se molti giovani hanno intrapreso l'attività letteraria
o giornalistica lo si deve a Don Michele Ambrosino che è stato colui che, dopo
un grande vuoto culturale durato decenni, nel 1961 ebbe l'ardire di scrivere un
libro su San Giuseppe. Un libro originalissimo
che fece anche un certo clamore in quegli anni. Immaginò infatti un'intervista
al Santo. Nelle risposte egli anticipò
temi e proposte che il Concilio avrebbe
annunziato al mondo di lì a poco. Fu quello il primo libro pubblicato a Procida
nel dopoguerra.
Proprio
per il suo profondo ed intimo rifiuto del clericalismo e
per la sua apertura al mondo ha lasciato il segno in molti, uomini e donne del
nostro tempo, che hanno avuto la ventura di incontrarlo. Alcuni sul suo esempio
hanno sentito la vocazione sacerdotale e molti altri hanno portato nei vari
ambiti della società un fede incarnata nei vari settori sociali,
dall'educazione alla letteratura, dalla medicina al turismo, dall'ambiente al
giornalismo.
Qualcuno
potrebbe domandare: un prete perfetto? No! Come ogni uomo aveva pregi e limiti.
La stessa santità per la Chiesa non è credibile se non vengono fuori anche i limiti e i
difetti della persona. Egli amava citare una frase dell'apostolo Paolo in cui
si parla della presenza in ciascuno di noi dell'uomo vecchio e dell'uomo
nuovo. E lo faceva per non farci scoraggiare quando ci sentivamo inadeguati
a vivere in pienezza lo proposta cristiana. Se l'uomo vecchio qualche
volta ci portava fuori strada rendendoci violenti, conflittuali, poco inclini
al perdono, lui ci faceva capire che si poteva sempre ricominciare
grazie a quella coscienza viva presente in noi che ci dava la forza di superare le cadute e
ritornare ad essere uomini di pace e di perdono, costruttori di quel mondo
nuovo a cui tutti aneliamo. Pensiamo che sia stato così anche per lui.
A cura
di Pasquale Lubrano lavadera
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