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Maria Francesca Borgogna
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Maria
Francesca Borgogna è autrice di molti libri di narrativa e di poesia. Impegnata
nell'Istituto superiore dell'isola di Procida come docente di lettere è fra le
principali animatrici culturali dell'isola. E' tra le fondatrici del coro
Pleiadichorus e del Premio di Poesia "Le ali di Pindaro".
Le sue poesie sono presenti in diverse
antologie poetiche.
Ha pubblicato tre romanzi, nel 2008 Il
Talismano l’Orientale Editrice, Nel cuore della penombra per
Nane Edizioni 2015, Sub rosa- Il segreto 2019 edito da Booksprint.
Nel breve arco di un baleno è una silloge poetica
pubblicata dalla casa editrice Dantebus
nel febbraio 2020. Per l’Edizioni
Fioranna ha pubblicato la raccolta di fiabe Tredici nel 2011
e Quinta di Luna nel 2013; per la stessa casa editrice è in
uscita una raccolta per bambini dal titolo MiniStorie di terra di mare e di
cielo.
Rivolgiamo
a Maria Francesca Borgogna alcune domande relative al suo lavoro di
scrittrice e docente.
1
libri dell' infanzia segnano la nostra vita e aprono prospettive impensati.
Quali sono stati per te quelli che hanno inciso sulla tua sensibilità e favorito la nascita di una così intensa
vocazione letetraria.
I
libri della mia infanzia sono tanti, per
fortuna a casa mia si è dato sempre grande importanza alla lettura, ma quelli che in qualche modo ricordo come
formativi che hanno inciso sulla mia formazione penso siano stati Pollyanna
di Eleanor Hodgman Porter e In famiglia di Hector
Malot (autore anche del noto
personaggio Rémie). Queste due letture mi hanno insegnato a vedere il positivo anche nelle situazioni
difficili ea trovare la forza di non arrendersi di fronte alle avversità,
attingendo anche alla recetività e all’immaginazione.
Quando
hai cominciato a scrivere?
Ho
iniziato a scrivere da quando ho imparato… A cinque anni decisi che dovevo
imparare perché dovevo scrivere delle poesie ; fui molto orgogliosa quando da
sola riuscii a mettere insieme poche righe che esaltavano la bellezza e il
gusto delle ciliegie! Da allora ho sempre amato la scrittura, ma fino a età
matura lo facevo esclusivamente per me,
ero molto restia a rendere pubblico ciò
che scrivevo, quei pensieri che facevano parte così profondamente di me.
Perché
e per chi si scrive?
Si
scrive perché presi da una specie di “eroico furore”; è come un magma
incandescente che a un certo punto deve venir fuori e prendere forma,
solidificarsi in qualcosa di intellegibile a se stessi e agli altri. C’è una
materia dentro di noi che pretende di essere creata e riconosciuta. Quindi si
scrive , a mio avviso, prima di tutto per noi stessi e poi per tutti quelli che
vorranno riconoscersi e riconoscere il
nostro sforzo creativo. Poi c’è chi scrive per lavoro, per professione, ma
penso che alla base ci debba sempre essere un afflato, una spinta spontanea e
gratuita.
Vivi
la tua esperienza artistica anche nella pittura e in quella musicale del Pleaidicorus.
Si
sono due attività che amo molto ma richiedono molto impegno e non sempre c’è il
tempo e la possibilità di svolgerle. A dipingere mi cimento in piccole cose,
acquerelli più che altro. Riguardo al canto
ho praticato per più di vent’anni il canto corale, al momento purtroppo
non è possibile continuare questa
attività a causa della pandemia, mi manca molto perché il canto scioglie i nodi della nostra anima!
Cosa
ti affascina di più della natura umana?
La
cosa che più mi affascina della natura umana è sicuramente l’autocoscienza e la capacità di conoscenza,
un grande dono che ci permette di
superare i nostri limiti, ma al tempo stesso anche una maledizione
perché quei limiti ce li rende noti
Quali
i temi fondamentali dei tuoi romanzi ?
Ne
“Il Talismano” e in “Sub Rosa-il segreto” oltre al mistero dietro le vite dei
personaggi, c’è l’impotenza di fronte a poteri che agiscono in maniera oscura e
ambigua; nel romanzo “Nel cuore della penombra” parto da una storia personale
familiare che è quella di mio nonno morto in guerra, ma anche qui si delineano
poteri che agiscono sulla nostra vita e talvolta decidendo il nostro destino.
Tutti e tre hanno in comune uno sfondo storico.
Hai
sentito anche il richiamo delle favole e ci hai regalato il bellissimo volume
Tredici con le illustrazioni di Nico Granito.
All’epoca
della mia infanzia c’erano grandi
narratrici, una di queste era mia nonna che riusciva intrattenermi per ore,
così ho pensato di rimettere insieme parte di quella narrazione orale che ormai
andava scomparendo per lasciarne ai
posteri almeno un’esile traccia. Prossimamente, questa è un’anteprima, dovrebbe
uscire, sempre nelle edizioni Fioranna
che hanno già curato le favole del volume "Tredici" illustrate
dall'amico Nico Granito, una piccola raccolta di brevi storie che, attraverso
alberi, animali ed elementi della natura,
ci insegnano a mantenere valori
che in questa nostra epoca stiamo mettendo da parte come rispetto,
solidarietà, condivisione, senso di responsabilità. Le storie sono
illustrate da me con piccoli acquerelli,
è un mio sogno realizzato!
Gli
anni dell'infanzia assumono uno spazio particolare nella sua poetica?
Penso
di avere vissuto un’infanzia straordinaria di cui ho il privilegio di ricordare
molto. Il contatto diretto con la natura mi ha insegnato molto di tutto quello
che so, ha stimolato il mio ingegno e la mia immaginazione;, senza quella
bambina curiosa e un po’ selvatica che
mi accompagna da sempre non ci sarebbe poesia, sarei perduta.
Nel
tuo lavoro letterario che valore ha per te la memoria?
La
memoria è quello che siamo, più si ha memoria e più si ha coscienza di noi e del mondo; essa ci distingue dagli altri
esseri viventi o cose, essi sono portatori di memoria ma non hanno memoria per
questo non hanno facoltà di cambiare il corso delle loro esistenze e della storia,
noi possiamo farlo, per questo sottrarsi
alla memoria credo sia un grande errore.
Quali
sono stati gli anni della tua formazione e quali i tuoi maestri?
Ogni
anno è un anno della mia formazione, ogni volta che la vita mi mette di fronte
a nuove sfide. I miei maestri sono stati tutti i libri che ho letto, molte
delle persone umili che ho incontrato e quelle straordinarie come don Michele
Ambrosino che amava confrontarsi con me sui grandi temi della vita, anche se
io non sono mai stata quella che si può
definire assidua praticante.
A
quale dei tuoi libri sei più legata?
Penso
di essere legata in qualche modo a tutti i miei libri ma quelli e per i quali
porto un rispetto sacrale sono quelli dei miei studi universitari che mi hanno aperto mondi sconosciuti, tra
grandi gioie e grandi sofferenze nel dover mettere tutto in discussione, come
tutte le opere di Nietzsche, tanto per fare un esempio.
La tua scrittura ha subito negli anni delle
trasformazioni?
Sicuramente.
Penso che sia maturata con me, c’è maggiore riflessione, forse meno impeto.
Esistono
oggi temi più urgenti per il romanzo?
Penso
che l’urgenza sia sempre dettata da come
noi ci poniamo rispetto alla realtà e dalla nostra visione del mondo, un
romanzo “onesto” può affrontare qualsiasi argomento. Purtroppo vedo sempre più
in giro persone che scrivono per moda, che si affidano a quelle che sono le
tendenze di mercato nella speranza di avere successo, di ottenere fama
in qualche modo, insomma di fare prodotti consumabili da molti a
discapito dei contenuti. Ma ognuno è libero di scrivere come vuole come ognuno
è libero di leggere ciò che gli pare…io faccio un altro mestiere.
Quale
rapporto si può oggi stabilire tra letteratura e realtà?
La
realtà, come dicevo, è che oggi a mio avviso si produce poca letteratura e
molta scrittura che pretende di descrivere la nostra società, in effetti si
risponde spesso solo a dei cliché ben collaudati, filoni di successo, ottimi
prodotti per il consumo quotidiano.
Forse deriva da questo la mia indiscussa devozione verso i grandi dell’800, per
loro raccontare la realtà attraverso la forma del romanzo era cosa nuova, una
conquista, una libertà espressiva fuori dai vecchi canoni. Persino i feuilleton
avevano una maggiore carica creativa, l’entusiasmo di rivolgersi a un
pubblico nuovo.
Un
rapido sguardo a parole come felicità, violenza, libertà?
Felicità
è riuscire a cogliere quei momenti di grazia in cui ci sentiamo in armonia con
noi stessi e col mondo, è il frutto di un esercizio a cogliere il bello. La
violenza è il frutto della disarmonia, è espressione di malessere e disagio
interiore. Libertà è accettazione di sé, vivere secondo le proprie
inclinazione, nel rispetto degli altri ma senza farsi condizionare.
Che
importanza dai nella tua vita personale e sociale al valore della pace?
La
pace è prima di tutto fare pace con se stessi, solo così si può vivere
armonicamente con gli altri. A livello sociale, più ampio, la pace è un valore
da perseguire capendo che non è mai per
sempre ma bisogna comprendere la complessità
delle dinamiche storiche, politiche, economiche e raddrizzare la barra
di volta in volta. Se ogni cosa cambia anche la strada per la pace si deve
adeguare.
Ancora
una parola impegnativa: Dio, l'assoluto...
La
mia è una visione che si avvicina un po’
a quella di Giordano Bruno, di un Dio
cioè immanente e trascendente allo stesso momento. Il divino penso sia in tutte
le cose, è la forza vitale che anima l’universo, pregare Dio è richiamare a sé
la forza l’energia del “tutto” perché ci venga in aiuto, e se siamo un corpo
unico questa forza non può non sentire il nostro richiamo. L’idea di assoluto è
un’intuizione, la nostra aspirazione a essere il “tutto” di cui noi facciamo
parte pur non essendo “tutto” .
E'
possibile oggi parlare di una società letteraria e, all'interno di essa, di un
dialogo fra scrittori?
Non
saprei, tutto è possibile se si abbandona il narcisismo e l’egocentrismo che ci
caratterizza in quest’epoca. Bisognerebbe avere voglia di veicolare valori
comuni, di costruire e condividere, purtroppo penso che siamo nel pieno di una
fase destruens, pochi sono quelli di buona volontà, ma non bisogna
arrendersi.
Quale
politica editoriale è individuabile oggi in Italia?
Penso
la stessa che ovunque; le case editrici
sono imprese che devono fatturare, poi vi sono rari gioielli che hanno come
scopo primario quello di produrre cultura ma nuotano tra mille difficoltà,
spesso nella precarietà più assoluta perché non hanno aiuti in quanto nel
nostro paese è noto che “con la cultura non si mangia”!
Che posto occupa nella tua vita il dialogo con
chi la pensa diversamente.
Un
posto sicuramente di rilievo, sempre che vi sia il desiderio sincero di costruire
qualcosa di buono e disponibilità al confronto e a capirsi anche dall’altra
parte
Dal
tuo punto di vista quale è lo stato della cultura a Procida?
Sull’isola
c’è un grande fermento e questa è una cosa sicuramente positiva, un grande
spinta ad agire, ma dovremmo fare più chiarezza su dove vogliamo andare e su
come ci vogliamo andare; dare valore e
senso alle cose che si fanno e non rincorrere ogni chimera che ci passa davanti
creando una serie di heideggeriani sentieri
erranti.
Si
fanno tante manifestazioni culturali, pensi che incidano realmente nel nostro
tessuto sociale?
Dipende
dalle manifestazioni, alcune sono calate dall’esterno e toccano poco o appena
sfiorano i locali, altre sono moto partecipative ma ripetitive o di poco contenuto oltre
quello meramente, se pur legittimamente, ludico. Pochi sono gli eventi che
coniugano interesse, partecipazione e arricchimento. C’è da lavorare ma si può
fare!
La
pandemia ha messo in crisi il sistema capitalistico. Quali i temi dell'economia
che più ti affascinano oggi?
Sicuramente
quello di una possibile decrescita, c’è bisogno di un grande rivoluzione
all’interno della nostra percezione della realtà e del concetto di bisogno
reale e bisogno indotto, siamo programmati per essere consumatori compulsivi,
sarà difficile resettare e riprogrammare; c’è bisogno di un enorme salto
coscienziale che ci porti a riplasmare la realtà, sarà un processo lungo e irto
di ostacoli enormi, ma penso che sia
l’unica chance che abbiamo
Penso
che la scuola oggi sia in profonda crisi rispetto al dettato costituzionale che
chiede una scuola che formi l'uomo e lo aiuti a rimuovere gli ostacoli
frapposti da situazioni di disagio e di sottocultura. Quale è il tuo pensiero a
riguardo.
La
Scuola è stata erosa, corrosa da riforme
continue, inutili e alla fine dannose.
Ormai si insegna e si impara poco e con grande fatica. L’apparire, le
scartoffie, la finta modernizzazione, hanno tolto tempo, ossigeno, e forze a un
rapporto di grande privilegio, quello fra alunno e insegnante. Ogni azione deve
rispondere a una serie di regole assurde e spesso insensate che non si basano
più su nu rapporto di reciproca fiducia tra le parti in causa. Questo non aiuta
a risolvere il disagio di chi è in difficoltà, ma spesso crea difficoltà anche
a chi non ha teoricamente disagio. Apparentemente tutti hanno più diritti,
nella realtà tutti hanno meno possibilità di imparare realmente.
Quale
consiglio daresti ai giovani che
vogliono tentare la strada della scrittura?
Di
scrivere, senza l’ansia di diventare ricchi e famosi ma di scrivere con onestà,
giudizio e conoscenza della materia che si va a sviluppare, di farlo con amore
e con passione.
Come
suscitare l'interesse negli studenti per la lettura?
Leggendo
insieme a loro…
Un
mondo unito dalla fraternità è stato il sogno di uomini e donne ieri. Possiamo
oggi continuare a coltivare questo sogno?
Dobbiamo!
Siamo qui per coltivare sogni, nutrirli, farli crescere, senza grandi i sogni
l’umanità sarebbe finita, l’uomo sarebbe un essere cieco in balia di ogni
corrente.
A
cura di Pasquale Lubrano Lavadera
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