L'nfelice Venosca
Tra le “pieghe” dell’isola
“L’INFELICE VENOSCA”
Fra
le tante leggende metropolitane che da sempre circolano per Procida, una che ancora
non può dirsi completamente estirpata è quella del detenuto che avrebbe
scolpito il Cristo morto della Congrega dei Turchini, il quale, poi, gli
avrebbe parlato, dopo di che egli sarebbe morto. Inoltre, per lo più, il
detenuto medesimo è stato identificato in quel “Venosca” seppellito nel
cimitero dell’isola, nel quale, per l’appunto, una tomba è contrassegnata
dall’iscrizione lapidea: «Qui giace l’infelice Venosca A.D.M.». A smentire,
però, tale infondato assunto è sufficiente la triplice considerazione, secondo
cui: a) la statua reca la firma
«Carminus Lantriceni sculptor Neapoli A.D. 1728» che, dunque, ne è il vero autore;
b) l’istituzione del «Bagno penale» a
Procida rimonta al 1830-31, vale a dire, oltre un secolo dopo la realizzazione
del Cristo morto; c) il Lantriceni
opera (vale a dire, vive) almeno altri trentadue anni, dopo avere scolpito il Cristo,
giacché la sua Madonna delle Grazie di Montesarchio è del 1760. Bene; ma,
allora, chi è questo “infelice Venosca”?
Intanto, nel primo volume del suo saggio «L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla
giurisprudenza ed alle discipline carcerarie» (1896-97), il criminologo
Cesare Lombroso menziona un “Venosca” fra gli assassini e gli avvelenatori che
hanno raggiunto una certa celebrità nel mondo della poesia: che, dunque, tale
fosse il cognome di un carcerato è un dato di fatto inoppugnabile. Nella tornata del 20 novembre 1861 della
Camera dei Deputati del Regno d’Italia, poi, si dà atto, fra l’altro, che nel “Bagno”
di Procida è detenuto tal Venosca Francesco, che da altra fonte (Camera
dei Deputati, «Le Assemblee del
Risorgimento», vol. 11, 1911) risulta escluso
dall’indulto del 23 gennaio 1848, per avere partecipato, insieme con altri ventun
condannati all’ergastolo, alla sommossa politica avvenuta in Procida il 14
ottobre 1839. Tutto ciò consente di ritenere che sia proprio costui
l’“infelice” sepolto nel cimitero dell’isola e di comprendere anche le ragioni
della sua “infelicità”.
Sergio Zazzera
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