Procida capitale italiana della cultura: Don Luigi Fasanaro
don Luigi Fasanaro |
Il giorno in cui il curato don Luigi Fasanaro mi portò
a visitare l’abbazia
L'Abbazia di
san Michele Arcangelo, emblema storico dell’isola di Procida, è situata nella parte più elevata del piccolo
territorio, a circa 80 metri dal livello del mare.
Stretta tra
le case dell'antico borgo il maestoso e
splendido edificio, si presenta dopo un millennio, nonostante le incursioni
distruttive dei secoli passati, con le sue bellezze nascoste, con i suoi
scenari mozzafiato ma anche ferita di un lento e inesorabile decadimento.
Tuttavia, ingenti reperti storici, opere d'arte, beni culturali, suppellettili
pregiate sopravvivono all’inerzia dell’uomo.
Ciò
nonostante il visitatore che ardisce raggiungerla, sbalordito e incredulo,
ammira questo naturale complesso
museale, che assomma in sé - scrigno autorevole e maestoso di storia e di
civiltà - un cumulo di testimonianze straordinarie di vicende antiche cariche
di fascino.
- Se un giorno malauguratamente l'abbazia dovesse
sprofondare , e di pericoli ne ha corsi e ne corre tutt'ora, l’isola perderebbe
il fascino, l'attrattiva, il richiamo per tanti, ma soprattutto gli isolani
sarebbero privati delle loro radici
conficcate nel profondo di questa rocca antica.
E' don Luigi
Fasanaro a parlare cosi, il vecchio curato, 89 anni portati bene, quel lontano
giorno che mi portai lassù per una visita all'abbazia. Nonostante un recente
intervento chirurgico conservava ancora lo sguardo pungente e indagatore, la
parola sciolta e sagace.
Un uomo ben
noto agli indigeni e ai turisti abituali dell'isola per la sua franchezza di
espressione, che non esitava ad affondare il suo bisturi nelle ferite doloranti
della società odierna.
Amato e
odiato per il suo carattere poco incline alla servile diplomazia, per oltre
cinquant'anni ha cercato di preservare l'antica e gloriosa Abbazia , con tutti
i mezzi e i modi, con la tenacia e la protervia di un cavaliere d'altri tempi,
con l'entusiasmo di chi conserva in cuore l'amore per la propria terra e per
una storia millenaria ricca di fede e di virtù civili. Fino agli ultimi giorni
della sua vita.
Oltre a
prendersi cura dei pochi parrocchiani abitanti nel borgo antico, Don Luigi ha
riversato le sue principali energie e risorse morali prima ai carcerati in
qualità di emerito cappellano di uno dei più famigerati luoghi di pena della
nobile Italia, collocato nel 1830 dal re Borbone nel palazzo reale, proprio
sulla rocca dell’isola, accanto all’abbazia, ed infine alla difesa dell'Abbazia
per tramandarci una storia che per essere storia dell'isola è storia delle
umani genti ed appartiene quindi a tutti gli uomini.
Solitamente
assorto nel suo piccolo studiolo accanto all'imponente sacrestia, alza lo
sguardo indagatore su colui che timidamente fa capolino in quell'anfratto-culla
per porgergli un saluto o poi esporgli qualche interrogativo.
L'espressione, tra il serio e il faceto, nel mentre mi invita ad
accomodarmi sembra rivelare un segreto pensiero: "Chi sarà costui che oggi
viene a interpellarmi, un angelo del buon Dio o un demonio degli inferi che
viene ad oltraggiare questo tempio dove si venera Colui che allontanò Lucifero
dal cospetto della purezza e trasparenza di Dio?"
Poi, conosciuto
l'interlocutore si dispone all'opportuna sentenza o all'assorta riflessione.
Ogni sua parola un dardo lanciato nella speranza di colpire al cuore. Gli preme
consegnare agli opportuni o inopportuni visitatori prima di ogni altra cosa la
memoria limpida del suo operato di sentinella vigile.
E, quale
sentinella, in un tempo rarefatto e immobile, ancora sente in sé la forza di
scrutare e dirigere, rispondere e chiamare, quasi a difendere l'ultimo assalto
del possibile, e sempre in agguato, nemico.
Lo studiolo
prendeva luce da una finestrella che affaccia sull' antica terrazza dove una
meridiana per niente intimidita dalla nuova tecnologia continua a segnare il
tempo. Sento ancora la sua voce confidenziale e accattivante come se fosse
ancora lì davanti a me:
- Proprio lì, su questa terrazza, un lontano giorno
del 1500, gli antichi abitanti dell'isola, asserragliati nell'abbazia in
preghiera per scongiurare l'ennesimo assalto barbaresco, posero di fronte al
mare l'immagine venerata dell'Arcangelo, una statuetta di cinquanta centimetri
dipinta con la sapienza del cuore: solo Lui avrebbe ancora una volta potuto
scacciare i demoni che, impossessatisi di quelle ciurme africane, venivano a far razzia di uomini e
di donne, di beni e di riserve. Lì sulla terrazza, l'oro scintillante dell’ immagine risaltò sullo scenario azzurro come non mai,
prendendo proporzioni gigantesche commisurate a quella ansia di libertà e di
salvezza che i procidani esprimevano con fede. D'improvviso l'arcangelo sembrò
svanire e sprofondare nell'oscura nube che avvolse l'isola negletta e minacciata. Fulmini saettanti colpivano intanto il mare
con violenza inusitata e il rombo del tuono squassava le orecchie della folla
orante ma anche delle ciurme nemiche indaffarate a porre nei fondali le loro
ancore gigantesche. Un grido si levò
sulla terrazza, Lui, l'Arcangelo, tra le nubi con la spada alzata: "San
Michele difendici, allontana il nemico predatore, salva la nostra casa, i
nostri figli..." Il susseguirsi
delle saette sembrò irrefrenabile tra cielo e terra, mai una tempesta s'era
rovesciata sull'isola con tanta virulenza. La pioggia a scrosci violenti
cominciò a rigare i volti dei procidani,
a inzupparne le vesti, ma nessuno osò spostarsi e come in apnea attesero l'evento
provvidenziale...
Dopo il
racconto Don Luigi, alzandosi dalla sua sedia e come a voler proseguire il suo
racconto, mi conduce nell'antica sacrestia, ora divenuta ufficio, archivio,
ripostiglio, biblioteca, esposizione di arte e cianfrusaglie:
- Non so più dove mettere la roba…Vengono qui e
lasciano un paio d'angeli, un Cristo di cartapesta, un dipinto, una madonna di
conchiglie…”Mi raccomando don Luì, mettela bene in mostra, ci tengo, questa è
la casa antica nostra”. So che non tutto è opera d'arte,… ma come fare a dire
di no a chi crede di aver portato il suo dono unico e straordinario nella casa del Padre…Per adesso
metto qui tutto, come posso, poi un giorno speriamo che ci sarà un criterio, un
equipe esperta per scegliere e collocare, mostrare oppure solamente conservare…
E mentre parla,
col suo bastone mi indica in alto appena a sinistra della porta la venerata immagine del piccolo San Michele
che la tradizione vuole sia stata
l'immagine miracolosa di quel lontano giorno: un bambino, un angioletto tenero,
che gioca alla guerra con la spada alzata.
Se ne sta
ancora lì silenzioso nella sua nicchia di pietra indisturbato, e i visitatori
neanche s'accorgono di Lui, come pure spesso non s'accorgono della presenza
discreta del Curato, rinchiuso nel suo bozzolo, che solo eccezionalmente, per
me, quella mattina si era posto in movimento.
Come in una
simbiosi con l'Arcangelo, cresciuta in questi oltre cinquant'anni di stretta
vicinanza, anche don Luigi, nel mentre mi accompagna per la grande chiesa, ha
quasi sempre il braccio alzato, come a
brandire la sua virtuale arma, fatta di parole, di carta stampata, di
interventi, per difendere l'abbazia di
Procida, che deve certamente a lui la sopravvivenza.
Qualche
ospite ci osserva e vedendo quell'uomo anziano che avanza tentennante e con
autorità, che non disdegna di mostrarsi
con canottiera e con un fazzoletto al collo per difendersi dal sudore dovuto
alla calura estiva, domanda alla custode, la fedele Angelina, se è proprio lui
il vecchio curato.
- Sì è lui il curato, è il nostro don Luigi l'anno prossimo festeggia i 90 anni -
bisbiglia sottovoce la fedele fantesca, donna dal tutto fare e tutto dire,
vigile sorvegliante per difendere quei sacri recessi dai curiosi e inopportuni
visitatori. Poi aggiunge: - Se volete
sapere o visitare i “sacri recesssi” rivolgetevi alle ragazze dell’Associazione
Millennium che stanno nella sala d'ingresso. E' un associazione che ci sta
aiutando a conservare e a impedire che facciano i furti. Danno però utili
informazioni sull'abbazia.
Don Luigi che
ha seguito da lontano la scena e compreso il dire della fantesca me lo conferma:
- Eh, sì, e non
ci fossero stati questi giovani, queste ragazze, mi sarei visto perso. Ladri
vestiti in doppio petto hanno rubato tutto, rubato anche i pastori del presepe,
il diadema della Madonna del Rosario, le decorazioni delle cappelle. I luoghi
sono ampi, e loro scorazzano ed adocchiano…sono i nuovi saraceni…anche tra gli
isolani c'è stato chi ha steso le mani. Il mio predecessore, buonanima, ormai
anziano aveva intorno una schiera di fedelissimi e tra questi c'è stato anche -
mi dispiace dirlo ma la verità è la verità - chi ne ha approfittato. E'
doloroso, ma è la verità! Quante cose erano già scomparse quando sono arrivato
io per la prima volta nel 1958! Finanche
la croce d'oro della statua di San Michele, quella grande e bella che
gli isolani vollero far scolpire dopo il miracolo del 1500: 300 grammi di oro puro spariti nelle mani di
un furfante.
Mentre parla
con me don Luigi non smette di guardarsi intorno, salutare la gente sconosciuta
che ci passa accanto. Infine, un po' stanco per la verità pronuncia queste
parole:
- Come vedi qui ogni giorno è una battaglia, la gente
viene a frotte e se non c'è chi vigila
può scomparire tutto. Per anni mi sono adoperato da solo con sforzi
immani e pochi risultati…mettevo i miei biglietti per scoraggiare, per indicare
la sacralità del posto che si stava visitando. Macché! I biglietti sono rimasti
ma la roba ha continuato a scomparire. Ma oggi ho questi giovani di buona
volontà che mi assistono e mi rassicurano. Ringraziamo Dio.
Mentre mi
aggiravo per l’antico e meraviglioso complesso monumentale dell'Abbazia,
accompagnato da così autorevole guida, inoltrandoci in uno stretto corridoio, mi
trovo di fronte ad una scritta: "segreta di sant'Alfonso", e mi accorgo
che don Luigi vuole sussurrarmi qualcosa a cui tiene particolarmente:
- Devi sapere che Sant'Alfonso, quando venne
sull’isola nel settecento, trovò molta miseria materiale e spirituale,
soprattutto tra gli uomini che trascuravano le famiglie e ed erano dediti al
vino e al gioco. Le chiese erano frequentate soprattutto dalle donne e qui
ricevevano una parola di conforto per i loro mariti sciagurati. Ma cosa fare
per riportare questi uomini generosi nel lavoro ma afflitti nella carne dal
vizio. Il sant'uomo radunò in questi luoghi un manipolo di giovani per formarli
ad una pietà cristiana meno individualistica e orientata a soccorrere il
prossimo. Occorreva prendersi cura di questa gente che s'allontanava dalla
retta via per riportarli all'amorevole cura della moglie e dei figli. I preti dell’isola
assuefatti all’andazzo non ci facevano più caso. Pertanto Sant’Alfonso formò un manipoli di
laici senza troppo chiasso, quasi nel segreto, affinché il loro agire fosse il
più possibile discreto e senza ombra di proselitismo… Recuperare questi uomini
ai valori umani prima ancora che a quelli trascendenti. TI sembra poco?
Poi, operando
un vortiginoso salto nel tempo, mi racconta qualcosa della sua vita:
- Già cappellano di quel duro carcere venni nominato
parrocco dell'Abbazia solo il 10 dicembre 1958…Trovai tutto il complesso in uno stato pietoso,
intonaci cadenti travi traballanti, il tetto sprofondato in parte, il vecchio
soffitto a cassettoni pericolante, il parafulmine distrutto. La terrazza poi, gioiello dell'abbazia e
dell'isola, transennata perché un pilastro sottostante pencolava nel vuoto…Qui
e lì rattoppi e manutenzioni che risalivano all'opera del vecchio curato don
Nicola Ricci il quale aveva trattenuto con sé Giovanniello un forzato e vecchio
ergastolano muratore, conosciuto da tutti sull'isola. Con l’aiuto di
Giovanniello don Nicola ricostruì alcuni pilastri fondamentali che ancora oggi
resistono tanto furono fatti bene…ma per il resto c'era da mettersi le mani nei
capelli…Da chi vado a chi chiedo aiuto. Il Comune? Non aveva soldi. La
Sovrintendenza? meglio tacere…E' pur vero che eravamo nel primo dopoguerra e
quindi dovunque c'era da restaurare e da ricostruire e i soldi
scarseggiavano. Figurati se pensavano
alla nostra Abbazia. Allora mi sono detto: Muoviti e vai in alto, tu che hai
conosciuto in qualità di Cappellano autorevoli esponenti della politica romana,
vai a bussare a quelle porti e verifica la loro attendibilità…
Fu allora che
cominciò la lunga peregrinazione verso Roma di don Luigi che, nel mentre si
prendeva cura delle anima dei carcerati e dei parrocchiani, dovette
preoccuparsi di curare anche le pietre per impedire che la chiesa sprofondasse
nel mare:
- Se la terrazza avesse ceduto, sarebbe precipitato
anche il resto dell'abbazia che già aveva subito crolli nella zona ad Est…
Fu così che
Don Luigi, forte e audace, col suo parlare chiaro e tagliente, riuscì ad
avere dal Provveditorato alle opere
pubbliche un primo serio provvedimento per la sistemazione dei pilastri
laterali, quelli che danno sullo strapiombo e che avrebbero sostenuto il grande
terrazzo e l'intera Abbazia.
Subito
dopo si rendevano urgenti il recupero
del tetto e del soffitto a cassettoni che s'era incurvato.
- La chiesa più che un luogo di culto sembrava essere
diventata una lavanderia: enormi bacinelle erano poste lungo le navate,
sull'altare per raccogliere l'acqua piovana che veniva giù per le
infiltrazioni... Salvai prima di tutto il quadro centrale, tela prestigiosa che
io, nonostante quello che si dice oggi,
ritengo essere opera di Luca Giordani come risulta anche dall'archivio del
glorioso Banco di Napoli che contribuì alla realizzazione dell'opera. Poi
ottenni i fondi da Roma - 18 milioni - per la capriata nuova e durante i lavori
vennero fuori i resti del primo soffitto bruciato dai saraceni.
Dovette poi
occuparsi della struttura che sosteneva il piano di calpestio della Chiesa che
già negli anni 30, dopo una attenta perizia, presentava cedimenti notevoli che
avrebbero potuto pregiudicare tutta la parte sottostante la chiesa.
Ma quella
volta le porte si chiusero e don Luigi fu costretto ad investire il Comune e il Demanio, si recò alla
Sovrintendenza per far sentire la sua voce, ma con scarsi risultati.
- Eravamo in
pieno boom economico e le procedure
sembravano farsi più difficili…sapevo bene che il Comune e il Demanio erano
tenuti alla manutenzione dell'Abbazia ma era come parlare a sordi; non che non
mi ascoltassero…il problema era sempre e solo quello della mancanza di
fondi…Vogliamo allora che crolli tutto! Finalmente dopo tanti tentativi vani ,
la Sovrintendenza dovette capire l'urgenza del problema per cui mi vidi
arrivare l'architetto Filomena Sardella, la quale dopo un'accurata perizia
tecnica constatò l'urgenza degli interventi, aprì la prativa per un nuovo finanziamenti
e si riuscì quindi a salvare tutta la parte sottostante compromessa seriamente
dal cedimento progressivo delle travi che sostenevano il pavimento della
chiesa.
Negli anni
80, l’Abbazia si presentava ancora malconcia
per mancanza di intonaci esterni, per il deterioramento della facciata
romanica che risaliva all'anno 1000, per gli infissi, per la canonica ormai
cadente, per le opere pittoriche consumate dalla salsedine e dalla polvere.
- Come facevo a ritornare nuovamente in
Sovrintendenza? Cercai allora di sensibilizzare procidani in America, persone
dal buon cuore che provvidero a inviarmi fondi. Un aiuto mi fu dato anche
dall'Ammiraglio Lubrano il quale provava una grande vergogna al pensiero che i
procidani non sentissero l'urgenza di salvare la storica abbazia e tutto il
complesso annesso… Piano piano abbiamo in questi ultimi anni provveduto almeno
al recupero della facciata con l'apertura del rosone che era stato
completamente ostruito, inoltre con l'aiuto di volontari e con la donazione della Biblioteca del
Professore Imbò abbiamo proceduto ad una nuova catalogazione dei libri salvando
una buona parte di essi da un deterioramento distruttivo.
Quello della
biblioteca è uno degli argomenti che più sta a cuore al Curato il quale da uomo
di cultura e arguto scrittore sapeva che il patrimonio era ingente e andava
sistemato:
- Ho salvato quello che ho potuto…Mi rendo conto che
molti libri sono ancora in pericolo ma è un discorso complessivo che dovrebbe
interessare il Ministero dei beni culturali come pure il discorso del recupero
delle opere pittoriche e dei reperti storici.
Solo da pochi
anni il Comune di Procida aveva messo a disposizione del Curato la consulenza
dell'Architetto Calabrese con i quale si cercava di fare quegli interventi minimi
di volta in volta necessari.
- Abbiamo potuto per esempio costruire i bagni per i
visitatori che non esistevano, ripristinare il parafulmine e altri interventi
di ordinaria manutenzione…ma per la verità non so dove finisca l'ordinaria e
cominci la straordinaria manutenzione.
Un problema
grosso di notevole portata storica e culturale rimaneva quello della riapertura
del cunicolo che collegava l'Abbazia con il Castello d'Avalos. Il Curato Don
Luigi non ha dubbi sull’esistenza di un
tale passaggio:
- Il cunicolo
fu chiuso da Ferdinando IV n nel momento in cui pensò di ospitare i galeotti
nel famoso castello per traformarlo in Casa di pena. Immagina un po': nel
centro storico dell'isola punto di massima densità abitativa il famoso
castello, vanto dei procidani tutti che diventa prigione e i procidani
costretti a vedere questi galetotti dietro le sbarre ogni giorno. Una sorta di
punizione da parte del potente re Borbone per la Chiesa locale, il cui curato
aveva appoggiato esplicitamente le idee della repubblica partenopea. Sì,
proprio così, una forte punizione; questa scelta del carcere a Procida andrebbe
studiato bene e analizzato nei particolari. Il cunicolo fu murato lasciando in
esso oltre 600 tele che erano state tolte dalle stanze del palazzo. Che fine
avranno fatto in questi due secoli? Si troverà ancora qualcosa? E' importante
restaurare tale cunicolo perché segno visibile di una storia ricca di colpi e
contraccolpi.
Dal suo dire
comprendo che i procidani dovettero reagire con dignità e con forza a tale collocazione, molti si allontanarono dalla
Terra Murata e cercando abitazione in posti lontani da quel maniero divenuto
simbolo di colpe e di pene. Si rifiutò intimamente di considerare quella nuova
struttura parte dell'isola e si continuò a vivere come se il carcere non ci
fosse.
- Mai nessun procidano pensò di prestar servizio in
questa struttura e tutti gli agenti di custodia venivano da altre zone della
Campania e da altre regioni. - Solo negli ultimi anni qualche procidano cominciò a lavorare in
esso, anche perché numerosi agenti di custodia erano divenuti procidani
sposando donne dell'isola, per cui
quella frattura evidente tra carcere e famiglie procidane si era in parte
sanata. Ma fino agli anni 50 la resistenza era ancora forte e per una donna
veniva considerata una iattura o una sorta di degrado sociale sposare nu
guardieno.
La visita si
stava per concludere. Il curato mi mostrò ancora alcuni reperti storici di
valori messi qua e là in bella mostra ma senza il dovuto rilievo che avrebbero
meritato.
- Vedi quest'ancora? E' quella lasciata dai saraceni
nel mare dopo l'apparizione di san Michele? E' l'unica che è rimasta, ma è incustodita.
Chissà che un giorno venendo qui, io non
abbia la sorpresa di non trovarla più al suo posto. Come pure di valore è il
chiavistello della cella in cui fu imprigionato il Curato prima di essere
impiccato dai Borbone in Sammarezio, oppure gli scheletri dei candelieri
privati dell'oro dai saraceni. E poi tutte le tele che marciscono. Come si
fa? Ho cercato di recuperare la Dormizio Virginae e qualcuno mi ha pure
bacchettato. Meglio allora che tutto vada alla malora? No, finché Dio mi darà
vita e forza farò il possibile e l'impossibile. In questa Abbazia sono
racchiuse le testimonianze di fede dei nostri padri, qui ci sono i segni
visibili di quei valori civili che hanno caratterizzato nei secoli il popolo
procidano, il suo coraggio e noi tutto questo abbiamo il dovere di tramandarlo
ai giovani di oggi che devono sapere, conoscere…Una comunità che non difende
con i denti il suo passato, che non ricorda le sue radici , che lascia
sprofondare nell'oblio la storia da cui proviene è una comunità destinata ad
essere preda dei nuovi saraceni, quelli che vengono sull'isola solo per
depredarla dei beni che possiede per far soldi e basta…Vorrei che i giovani e
le persone illuminate, quelle cha hanno ancora coscienza reagissero a tutto
questo…Ci riusciranno?"
Oggi che il
curato non è più tra noi, rivive ancora la sua presenza amorevole e accorata, austera e
intransigente, ma sempre piena di amore accogliente verso chi poneva piede
nelle sua abbazia con il dovuto rispetto
per quel luogo così carico di storia e di vita.
Pasquale Lubrano Lavadera
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