Procida: Non tartassiamo i nostri operatori commerciali e turistici

Un pescatore a Marina Corricella - Procida



 
Cosa hanno fatto gli Amministratori per favorire sviluppo economico e lavoro sull’isola? Quali scelte per favorire le imprese, il commercio, gli operatori turistici? Come risponde la politica locale alla crisi attuale che investe tutti i settori produttivi? Sono tutte domande che attendono risposte concrete e  scelte politiche serie e lungimiranti.
I nostri imprenditori sono esausti, lo hanno detto più volte in questi ultimi mesi, e le energie residue per resistere sono davvero molto poche. Solo una classe politica irresponsabile può rimanere passiva di fronte a questo scenario.

In generale, come dice l’economista Luigino Bruni[1], la classe dirigente non ha avuto uno sguardo benevole verso il lavoro, il commercio e le imprese. Gli imprenditori sono stati guardati molto spesso come affaristi perché trafficavano beni privati. Sarebbe, invece, buono il denaro speso dagli Amministratori politici perché quel denaro aveva come scopo il bene comune. Così il debito pubblico sarebbe diverso e moralmente migliore dei debiti e crediti privati, in quanto questi ultimi nascevano da interessi e egoismi particolari.
Niente di più falso e distorto! Dobbiamo, invece, guardare politicamente e culturalmente i nostri imprenditori in modo nuovo e diverso: dobbiamo sentirli alleati per lo sviluppo e il lavoro. “Dobbiamo finirla  di confondere i veri imprenditori e la loro azione e vocazione civile con gli speculatori e coi faccendieri che imprenditori non sono".
I nostri operatori turistici e imprenditori dell'isola non devono essere pubblicamente penalizzati con aggravi di tasse, dimenticando che essi svolgono un servizio pubblico, che creano sviluppo e lavoro. Tassare ulteriormente  questi nostri imprenditori che rischiamo personalmente, con prospettive spesso incerte, - dice Bruni, è un vero “peccato sociale di cui siamo tutti responsabili se restiamo passivi e silenti”.
Francesco d’Assisi inseriva gli imprenditori tra i pauperes, ossia tra i poveri, in quanto essi “non erano percettori di rendite ma vivevano di redditi sottoposti al mercato, alle sue incertezze e avversità.”
Oggi come ieri l’imprenditore vero è l’unico “che rischia i propri talenti e le proprie risorse per creare beni e lavoro. Non vive di rendite e quindi se non crea e innova cade a terra. E può cadervi anche innovando e facendo bene il proprio mestiere: lo stiamo vedendo troppe volte in questi tempi di crisi”
Per questo sentiamo fortemente che occorre ridare fiducia e stima ai nostri imprenditori, ai nostri commercianti e a quanti aprono un’attività. Come pure  è indispensabile che gli Amministratori dell’isola, mettendo da parte colori ed appartenenze partitiche, vadano incontro con coraggio alle loro esigenze reali e sostengano il loro spirito di iniziativa con politiche adeguate e lungimiranti.




[1] Luigino Bruni, Trappola da smontare, Avvenire domenica 6 aprile 2013
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